La morte irragionevole della generazione Z
Maloletkov Danila è solo uno dei tanti combattenti simbolo del fallimento della Russia post sovietica e del putinismo. Ormai i soldati russi hanno capito che gli ufficiali dell’armata Z intendono impiegarli solo come carne da cannone.

La morte irragionevole della generazione Z
Maloletkov Danila è solo uno dei tanti combattenti simbolo del fallimento della Russia post sovietica e del putinismo. Ormai i soldati russi hanno capito che gli ufficiali dell’armata Z intendono impiegarli solo come carne da cannone.
La morte irragionevole della generazione Z
Maloletkov Danila è solo uno dei tanti combattenti simbolo del fallimento della Russia post sovietica e del putinismo. Ormai i soldati russi hanno capito che gli ufficiali dell’armata Z intendono impiegarli solo come carne da cannone.
Maloletkov Danila, russo etnico nato in Tatarstan il 21 agosto 2002 e morto ora in Ucraina, è il simbolo del fallimento della Russia post sovietica. Nato sotto Putin, è morto vittima dell’insensata guerra imperialista del suo presidente: il suo passaporto è stato fotografato tra le mani degli ucraini che ne hanno tumulato il cadavere in uno degli obitori d’emergenza istituiti nelle aree di combattimento.
Non sappiamo che cosa abbia sognato nella breve vita trascorsa nella regione tatara della Federazione Russa né se sospettasse l’esistenza di un altro mondo possibile oltre quello che la televisione di Stato gli mostrava giornalmente. Probabilmente non sapeva neanche che la sua presenza in una zona di combattimento attivo fosse illegale ai sensi della stessa legge russa, che vieta l’impiego in guerra di coscritti di leva.
A Malotetkov forse piaceva giocare a calcio o forse era portato per gli studi scientifici. Probabilmente lui e la sua famiglia erano parte di quel 76% della popolazione russa che appoggia senza riserve le scelte di Putin e considera l’invasione dell’Ucraina utile al ritorno alla grandezza del proprio Paese. Adesso il loro zar ha firmato un decreto che ordina ben 134.500 nuovi coscritti nell’esercito come parte della leva annuale di primavera, ma quanti lamenti di madri e di padri serviranno per scuotere un intero popolo dal suo torpore morale è un’equazione angosciante di cui sapremo il risultato soltanto alla fine del conflitto.
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In queste stesse ore altri trecento soldati, non spartani ma osseti, hanno invece abbandonato le loro posizioni sul fronte del Donbass. Partiti soltanto pochi giorni fa per dare manforte ai russi – storici e unici sostenitori dell’indipendenza della loro Repubblica dell’Ossezia del Sud (anche detta Alania) – si sono trovati in una situazione per loro intollerabile. Non nuovi ai teatri di guerra a causa delle frizioni con lo Stato georgiano, rispetto al quale rimangono dei ribelli indipendentisti, hanno capito sin da subito che gli ufficiali dell’armata Z intendevano impiegarli come carne da cannone negli assalti frontali delle trincee ben difese dal raggruppamento interforze ucraino.
Per coraggio non si erano comunque sottratti alla prima linea, limitandosi a un caveat: per tradizione i corpi dei loro caduti devono essere raccolti e quanto prima spediti in patria per una celere inumazione. Gli ufficiali russi, che già a malapena evacuano i propri feriti e sovente lasciano i cadaveri dei commilitoni a imputridire dove sono caduti, si sono chiaramente rifiutati di agevolare questa antica pratica osseta.
Il risultato di tanto disprezzo per i costumi degli alleati è stato quindi il dietrofront di questi ultimi, che hanno percorso la via di casa a piedi pur di non venire meno al proprio onore. Una scelta che il resto dell’esercito russo sembra non avere, minacciato com’è di fucilazioni e dalla punta alla schiena delle baionette dei vanagloriosi reparti ceceni di Kadyrov.
di Camillo Bosco
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