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La prima, vera tregua. L’ultimo colpo di Biden

Questo è un accordo vero e in quanto tale anche inevitabilmente “doloroso” sia per Israele che Hamas. Una tregua di 42 giorni

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La prima, vera tregua. L’ultimo colpo di Biden

Questo è un accordo vero e in quanto tale anche inevitabilmente “doloroso” sia per Israele che Hamas. Una tregua di 42 giorni

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La prima, vera tregua. L’ultimo colpo di Biden

Questo è un accordo vero e in quanto tale anche inevitabilmente “doloroso” sia per Israele che Hamas. Una tregua di 42 giorni

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Questo è un accordo vero e in quanto tale anche inevitabilmente “doloroso” sia per Israele che Hamas. Una tregua di 42 giorni

Questo è un accordo vero e in quanto tale anche inevitabilmente “doloroso” per entrambe le parti, costrette ciascuna a cedere su punti considerati irrinunciabili sino a poche settimane fa. Politicamente parlando lo è molto di più per il governo di Benjamin Netanyahu, che rischia di perdere gli alleati di estrema destra. Partiti oltranzisti secondo i quali solo spianando la Striscia di Gaza e mantenendo a tempo indeterminato il controllo militare su quelle aree Israele avrebbe potuto trovare soddisfazione.

Davanti a questa prospettiva insostenibile a livello internazionale ma ormai anche interno, persino Netanyahu si è speso per salvare l’accordo e convincere i suoi riottosi e scomodi alleati.
Tutto per ottenere e concedere la prima, reale tregua nell’inferno seguito alla mattanza di Hamas del 7 ottobre 2023 e alla reazione a tappeto scatenata da Israele.

Scriviamo di accordo “vero”, per i motivi politici sopra esposti e perché dovrebbe portare a 42 giorni di stop ai combattimenti, in cambio del ritorno a scaglioni inizialmente di 33 ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas. Contemporaneamente, centinaia di detenuti o prigionieri palestinesi verranno liberati e consegnati nella Striscia.

Il luogo prescelto, la versione mediorientale del “ponte delle spie” dei tempi del Muro, dovrebbe essere il valico di Rafah fra la Striscia e l’Egitto. Questo è un punto fondamentale dell’accordo, che ricalca quelli accettati da Israele in passato: si tratta sulla base di uno squilibrio oggettivo ed enorme in termini numerici fra le parti.
Per ciascuna delle cinque soldatesse nelle mani di Hamas, Israele consegnerà 50 prigionieri. Nel totale che il governo di Gerusalemme ha accettato di lasciar andare, ci saranno anche diversi ergastolani.

Israele, oltretutto, manterrà il controllo del cosiddetto “corridoio Filadelfia” che attraversa la Striscia e si trova non lontano dall’Egitto ma si ritirerà dal “corridoio Netzarim”, che la taglia nel centro e avrebbe voluto presidiare per impedire il transito verso Gaza City di uomini armati. L’esercito con la stella di David resterà peraltro in forze a Gaza, così come continuerà il controllo israeliano sul territorio ed è del tutto inevaso il cruciale tema della futura responsabilità amministrativa.
Insomma, la domanda su chi comanderà in futuro a Gaza, posto che per Netanyahu non potrà essere Hamas.

Le concessioni sono intanto evidenti, pur di ottenere il risultato improcrastinabile del rientro degli ostaggi. Subito 33 e, nella seconda fase della tregua, tutti quelli ancora vivi: dovrebbero essere 96, ma non vi è certezza, perlopiù soldati maschi.

Come abbiamo scritto a più riprese, questa è una tregua, non è e non assomiglia neppure a una pace ma resta un oggettivo e grande risultato politico dell’amministrazione Biden ormai agli sgoccioli.
Un vero e proprio colpo finale, prima di lasciare il campo a Donald Trump e alle sue promesse di soluzione dei conflitti “in 48 ore”.

di Fulvio Giuliani

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