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La propaganda russa sull’attentato a Trump

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L’attentato a Trump non poteva che suggerire alla Russia nuovi spunti per alimentare la propaganda contro gli Stati Uniti

La propaganda russa sull’attentato a Trump

L’attentato a Trump non poteva che suggerire alla Russia nuovi spunti per alimentare la propaganda contro gli Stati Uniti

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La propaganda russa sull’attentato a Trump

L’attentato a Trump non poteva che suggerire alla Russia nuovi spunti per alimentare la propaganda contro gli Stati Uniti

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L’attentato a Trump non poteva che suggerire alla Russia nuovi spunti per alimentare la propaganda contro gli Stati Uniti e la scelta delle democrazie occidentali di sostenere l’Ucraina. La portavoce del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova si è già lanciata in una delle sue intemerate elucubrazioni. Ha esordito ricordando l’intento dei servizi segreti ucraini di assassinare il presidente Putin, che sarebbe stato «preparato con i soldi degli Stati Uniti». Inoltre, come riporta l’agenzia di informazione russa “Ria Novosti”, la Zakharova ha sottolineato la dichiarazione del figlio di Robert Kennedy Jr. sull’incapacità dei servizi segreti americani di proteggere il candidato presidenziale. Quindi, rivolgendosi a «coloro che negli Usa votano per la fornitura di armi» all’Ucraina, ha domandato: «Non sarebbe meglio usare questi soldi per finanziare la polizia americana e altri servizi che dovrebbero garantire la legge e l’ordine negli Stati Uniti?».

La portavoce di Lavrov ha perciò incoraggiato gli Stati Uniti a fare un inventario delle loro «politiche di incitamento all’odio contro gli oppositori politici, i Paesi e le persone». E ha scritto su Telegram: «Esattamente due mesi fa ho attirato l’attenzione sul fatto che negli Stati Uniti incoraggiano letteralmente l’incitamento all’odio nei confronti degli oppositori politici e ho anche fornito esempi della tradizione americana di omicidi e attentati a presidenti e candidati presidenziali». Il riferimento è a un messaggio scritto a maggio in cui osservava che quella parte che negli Stati Uniti critica la legittimità delle elezioni in Russia è la stessa che «dichiara apertamente la necessità di uccidere il candidato presidenziale Trump». Più cauto è sembrato il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov nell’affermare che la Russia «condanna in modo risoluto ogni espressione di violenza durante una battaglia politica».

Certo, le accuse contro le politiche di incitamento all’odio vengono dalla parte giusta e nel momento giusto: la Russia bombarda gli ospedali pediatrici e un tribunale russo vuole arrestare la vedova dell’oppositore Aleksej Naval’nyj, casualmente morto in carcere alla vigilia delle ultime presidenziali. Ovviamente non sono mancate le illazioni sulla ‘mano ucraina’ della testata ultranazionalista “Tsargrad”che si denomina nel sottotitolo “Il Primato Russo”. A suo parere potrebbe esserci una «traccia ucraina» nell’attentato alla vita di Trump, visto che sulla pagina di uno dei social network dell’attentatore Thomas Crooks si legge la scritta “Stiamo insieme all’Ucraina” realizzata con i colori della bandiera giallo-blu. Segue l’osservazione che nelle democrazie l’incitamento all’odio sta portando a una serie di attentati a personalità politiche: alla vicepresidente argentina Cristina Fernández de Kirchner (sopravvissuta), al primo ministro giapponese Shinzo Abe (ucciso con un’arma artigianale), al leader dell’opposizione sudcoreana Lee Jae-myung (ferito al collo) e in questa primavera al primo ministro slovacco Robert Fico (sopravvissuto).

Beninteso non c’è un riferimento agli ultimi attentati in Russia provenienti da gruppi islamisti: non sia mai che qualcuno possa considerare che alla loro origine ci sono le campagne siriane, i reclutamenti forzati per l’Ucraina tra le popolazioni asiatiche e le discriminazioni dei russi cittadini contro gli emigrati dei Paesi Stan. La ‘guerra ibrida’ delle mistificazioni non finirà qui, perché nelle prossime ore scenderanno in campo i filo-putiniani occidentali: gli argomenti non mancheranno contro Soros, le lobby democratiche complottiste e, ancora, la mano del capo dei servizi segreti ucraini Budanov.

di Maurizio Delli Santi

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