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La solitudine degli amici di Israele

L’ennesima strage di civili a Gaza, definito dalle forze israeliane un “tragico errore”, allontana sempre di più gli amici da Israele e l’obiettivo pace

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La solitudine degli amici di Israele

L’ennesima strage di civili a Gaza, definito dalle forze israeliane un “tragico errore”, allontana sempre di più gli amici da Israele e l’obiettivo pace

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La solitudine degli amici di Israele

L’ennesima strage di civili a Gaza, definito dalle forze israeliane un “tragico errore”, allontana sempre di più gli amici da Israele e l’obiettivo pace

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L’ennesima strage di civili a Gaza, definito dalle forze israeliane un “tragico errore”, allontana sempre di più gli amici da Israele e l’obiettivo pace

Scriviamo da “amici di Israele”, perché regola fondante dell’amicizia è la capacità di dire la verità quando più serve. E riteniamo che questo sia un passaggio di eccezionale delicatezza per il futuro dello Stato di Israele.

Nelle ultime 36 ore abbiamo assistito a quanto di peggio possa accadere per chi ha a cuore i destini dell’unica democrazia del Medio Oriente (no, non è una frase fatta né mai lo sarà) e di una prospettiva di convivenza che non venga spazzata via dai propugnatori dell’odio per l’odio. L’ennesima strage di civili nella Striscia di Gaza – operatori umanitari morti dopo aver distribuito aiuti alimentari – in quello che le Forze di difesa israeliane hanno definito un «tragico errore» è l’ennesimo chiodo piantato sulla bara del futuro.

È dall’alba dell’8 ottobre che ripetiamo ossessivamente quanto Hamas volesse sopra ogni altra cosa proprio ciò che ha ottenuto ovvero una reazione così rabbiosa e incontrollata del governo israeliano da disintegrare non tanto un processo di pace già morto e sepolto di suo, ma qualcosa di molto più profondo: l’idea stessa che arabi e israeliani possano trovare un modus vivendi e, attraverso anni di convivenza e collaborazione, arrivare alla pace dell’anima.

Pur confusamente e commettendo errori gravi (su tutti, l’illusione di poter ‘accantonare’ il problema palestinese), appena lo scorso autunno Tel Aviv aveva normalizzato i rapporti con gli Emirati Arabi Uniti ed era a un passo dall’allacciare relazioni diplomatiche con l’Arabia Saudita. Certamente in chiave anti iraniana, tanto dal punto di vista di Riyad che degli stessi israeliani, ma il risultato sarebbe stato comunque storico. Hamas lo temeva come null’altro, Teheran non poteva accettarlo e il 7 ottobre aveva esattamente questo come obiettivo strategico: stroncare qualsiasi avvicinamento nella regione a Tel Aviv.

Il governo israeliano non è riuscito a mantenere la freddezza necessaria, fornendo motivazioni ideologiche di rabbia e odio alle prossime tre generazioni di palestinesi: una colpa di cui l’attuale leadership dovrà rispondere davanti a quel Paese che ancora lo scorso fine settimana è sceso in piazza.

Poche ore prima dell’ennesima tragedia a Gaza, Israele aveva colpito in forma ‘chirurgica’ a Damasco, in Siria. Obiettivo dichiarato uno dei capi dei Pasdaran iraniani, nemici giurati fra i nemici di Israele. Azione di guerra e certo non priva di rischi di danni collaterali, ma imparagonabile alla furiosa e scomposta operazione nella Striscia.
Quella vista in azione a Damasco è la dottrina che Israele ha adottato in innumerevoli occasioni, dichiarando che nessun suo nemico potrà sentirsi al sicuro in nessun angolo della Terra. Politica dura e spietata, ma sostenibile e comprensibile, a differenza di una mattanza che sta costando il futuro.

L’angoscia di questi giorni è data dall’incapacità di farsi ascoltare a Tel Aviv e se non ci riescono neppure gli americani, la solitudine degli amici di Israele si fa pesante

di Fulvio Giuliani

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