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La speranza per Gaza, inattesa e fragile. Via ai colloqui in Egitto

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Diciamo la verità, ci eravamo disabituati anche al concetto stesso di speranza. Speranza che possa accadere qualcosa di positivo a Gaza, anche solo un barlume di possibilità di andare oltre l’orrore

La speranza per Gaza, inattesa e fragile. Via ai colloqui in Egitto

Diciamo la verità, ci eravamo disabituati anche al concetto stesso di speranza. Speranza che possa accadere qualcosa di positivo a Gaza, anche solo un barlume di possibilità di andare oltre l’orrore

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La speranza per Gaza, inattesa e fragile. Via ai colloqui in Egitto

Diciamo la verità, ci eravamo disabituati anche al concetto stesso di speranza. Speranza che possa accadere qualcosa di positivo a Gaza, anche solo un barlume di possibilità di andare oltre l’orrore

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Diciamo la verità, ci eravamo disabituati anche al concetto stesso di speranza. Speranza che possa accadere qualcosa di positivo a Gaza, anche solo un barlume di possibilità di andare oltre l’orrore.

Una virgola, un graffio all’allucinante, piatto e sconfortante panorama di guerra, morte e distruzione che si è parato davanti ai nostri occhi per mesi.

Come quell’infinito mare di macerie che resterà a lungo nella testa e nel cuore di chi non si rassegna alla storia spiegata in un post. Alla semplicistica, farisea distinzione tra chi ha tutte le regioni e chi tutti i torti.

Il graffio di speranza è tornato a balenare da quel Donald Trump che a lungo ha accarezzato sconfortanti progetti di riviere, resort, deportazioni, espulsioni, di una Striscia di Gaza trasformata in una Mar-a-lago mediorientale a uso e consumo di The Donald e dei suoi amici.

Una versione più razionale del Presidente degli Stati Uniti d’America e un’amministrazione capace di adattare alla realtà l’unico piano di pace oggi disponibile.

L’unica strada, l’unica ipotesi perché smettano di piovere missili e si ricomincino a distribuire aiuti in modo affidabile e sicuro. A curare i feriti, a dare una speranza ai malati, ai derelitti, ai vecchi, donne e bambini. La speranza, appunto.

Durante il fine settimana, le ali estreme dei due fronti – tanto in Hamas quanto in Israele – sono state tenute in qualche modo a bada. Torneranno a farsi sentire, a porre condizioni e a mettere sotto ricatto chi vorrebbe pur arrivare in qualche modo a un cessate il fuoco e una tregua.

Lo abbiamo già visto in Israele, con le sciroccate dichiarazioni dei ministri più estremisti del governo. Riescono nell’impresa oggettivamente titanica di fare apparire il premier Benjamin Netanyahu un razionale uomo di Stato. Pensate un po’ voi…

Come a Gaza non mancano e non mancheranno i profeti della guerra fino all’ultimo uomo, che poi in questo caso, significa fino all’ultimo bambino. Perché chi da anni vive al sicuro (più o meno) in Qatar ha giocoforza una visione della guerra e delle trattative con Israele radicalmente diversa rispetto a chi ha combattuto fino a 36 ore fa.

Così, all’alba di una settimana che ci dirà molto, la speranza si conferma un sentimento meraviglioso, eppure fragile come pochi.

Se si giungesse a una qualche definizione dei termini di un cessate il fuoco negli incontri in programma da oggi in Egitto, proprio a cavallo del tragico anniversario di domani del 7 ottobre, si manderebbe un segnale importante e inatteso.

di Fulvio Giuliani

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