La terza guerra del Libano
Siamo già nel mezzo della Terza guerra del Libano. Una guerra composta quasi puramente da scambi di ordigni dal cielo, siano essi droni o missili
La terza guerra del Libano
Siamo già nel mezzo della Terza guerra del Libano. Una guerra composta quasi puramente da scambi di ordigni dal cielo, siano essi droni o missili
La terza guerra del Libano
Siamo già nel mezzo della Terza guerra del Libano. Una guerra composta quasi puramente da scambi di ordigni dal cielo, siano essi droni o missili
Siamo già nel mezzo della Terza guerra del Libano. Una guerra composta quasi puramente da scambi di ordigni dal cielo, siano essi droni o missili
Siamo già nel mezzo della Terza guerra del Libano. Una guerra composta quasi puramente da scambi di ordigni dal cielo, siano essi droni o missili. Un conflitto che la maggior parte della popolazione multiconfessionale del Libano non ha mai voluto, sapendo già che non può portare alcun frutto positivo al Paese dei cedri, ma che Hezbollah ha voluto avviare in solidarietà con l’ennesimo dissennato tentativo di Hamas di attaccare Israele. Gli sporadici confronti via terra tra Tsáhal (l’Armata di difesa d’Israele) e le milizie al comando del sayyd Hasan Nasr Allah (comunemente conosciuto come Nasrallah) fortunatamente non si sono però ancora trasformati in qualcos’altro di peggio, soprattutto perché nessuna delle due parti è davvero interessata a invischiarsi in impegnative battaglie terrestri.
Certo, la superiorità tecnologica israeliana porta a mettere in conto una vittoria di Gerusalemme sul nemico, ma sicuramente a lungo termine. E nessuno saprebbe davvero prevedere adesso quanto tempo occorrerebbe a Tsáhal per piegare i paramilitari sciiti di Nasrallah, meglio armati e organizzati non soltanto di Hamas ma persino dell’esercito libanese. Già la massiccia controffensiva verso la Striscia di Gaza aveva provocato seri problemi al settore industriale israeliano (in carenza di manodopera a causa della mobilitazione) e una guerra su due fronti potrebbe rivelarsi ingestibile per il governo di Benjamin Netanyahu. Così gli schieramenti si guardano in cagnesco dal confine e si limitano a qualche colpo d’artiglieria, di razzo o di mortaio, mentre è nei cieli la vera battaglia.
Lo spazio aereo libanese è violato costantemente da salve di missili che hanno l’obiettivo di rendere troppo cara la solidarietà bellica tra Hezbollah e Hamas, decapitando l’organizzazione libanese di suprematisti sciiti e riducendo in cenere i suoi stock di armi e munizioni. Ne è un esempio l’attacco preventivo della Heyl Ha’Avir, l’aeronautica militare israeliana, contro circa 200 siti di lancio dei terroristi di Nasrallah. Secondo il tenente colonnello Nadav Shoshani, portavoce di Tsáhal, sono stati usati più di cento aerei militari (circa un terzo della flotta offensiva totale della nazione) per depotenziare l’attacco che Hezbollah aveva organizzato per vendicare Fouad Shukur, uno dei suoi fondatori ucciso lo scorso mese da un attacco aereo israeliano nella capitale libanese Beirut.
Dal migliaio previsto, la pioggia di missili e droni è stata dunque ridotta – secondo le fonti di Gerusalemme – ad ‘appena’ 230 ordigni, segnando una strana doppia vittoria. Gli israeliani hanno apprezzato il successo dell’operazione di contenimento, sebbene le capacità offensive degli sciiti siano ancora molto grandi. Hezbollah ha invece annunciato di aver completato la «prima fase della vendetta per Fouad Shukur», rinviando a un secondo momento l’onere di dimostrare che la potenza del network sciita-iraniano può ancora devastare Israele. Questo gioco di pareggi soffre però di un costante aumento dei suoi caratteri incontrollabili, almeno secondo l’analista esperta di Libano Roberta La Fortezza: «Sia Israele sia Hezbollah potrebbero variare il loro approccio attuale in favore di nuovi tentativi di sfruttare l’elemento sorpresa, come nel caso del recente bombardamento israeliano, o – più verosimilmente – in ragione di gravi errori di calcolo del meccanismo rappresaglia/contro-rappresaglia. Spostare sempre più avanti la ‘linea rossa’ con una continua escalation significa ridurre proporzionalmente i margini di negoziazione, finendo in un cul-de-sac politico e strategico che allontana la possibilità di una tregua».
di Camillo Bosco
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