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La vera domanda che ci pone Musk

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Elon Musk vuole essere il punto di riferimento politico, culturale e ideale di un modo di fare che non si è mai visto

Musk

La vera domanda che ci pone Musk

Elon Musk vuole essere il punto di riferimento politico, culturale e ideale di un modo di fare che non si è mai visto

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La vera domanda che ci pone Musk

Elon Musk vuole essere il punto di riferimento politico, culturale e ideale di un modo di fare che non si è mai visto

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La domanda che ci pone Elon Musk è fondamentalmente una: possiamo mandare a stendere ciò che abbiamo considerato per decenni e decenni la normalità nei rapporti istituzionali, fra Stati, fra mondo dell’impresa e della politica? In fin dei conti, è tutto qui.

Perché se qualcuno vuole fare il giochino di presentare Musk come il primo super imprenditore della storia affascinato dall’influenza politica ci scapperebbe da ridere o poco più. La clamorosa differenza, come più volte qui ricordato, è che il fondatore di PayPal, Tesla e SpaceX non si accontenta – perché sostanzialmente non gli interessa – di esercitare influenza sull’amministrazione di turno per favorire i propri interessi o la propria sfera ideologica di riferimento. Vuole essere lui il punto di riferimento politico, culturale e in qualche misura ideale di un modo di fare che non si è mai visto.

Di fare impresa, fare politica, fare politica estera. Anche in questo caso sarebbe oltremodo ingenuo sorprendersi, perché Elon Musk è la persona che ha – con il consueto perfetto tempismo – concesso la sua privatissima rete satellitare Starlink al presidente ucraino Zelensky al momento dell’aggressione russa, per poi minacciare di staccare la spina quando gli interessi strettamente personali (ancor prima che Usa) hanno cominciato a divergere da quelli del Paese invaso da Vladimir Putin. Questa è la sua concezione di politica estera e di relazioni fra Stati, basata su un puro rapporto di forza e interesse. Il suo.

Prima ancora che un giudizio, si badi, è la fotografia di un modo di fare con cui noi italiani abbiamo avuto a che fare nelle ultime 72 ore. Musk attacca i giudici, critica il Presidente della Repubblica e ha un colloquio con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni di cui nulla sappiamo, perché al momento Musk è un privato cittadino (come si fa notare in ambienti vicini a Palazzo Chigi). I contatti con lui non sono dunque assimilabili a quelli fra capi di Stato o di governo e non ci sono obblighi in termini di comunicazione o altro.

Peccato che la circostanza confermi il senso della domanda di apertura e lasci irrisolti tutti i dubbi sul tavolo. Del resto, dopo aver parlato con la Meloni, l’uomo più ricco della Terra abbassa i toni nei confronti di Sergio Mattarella, ma conferma la sostanza della sua critica e del suo pensiero. Il capo di governo non ha potuto convincere il privato cittadino a fare retromarcia, ma giusto ad annacquare un po’.

Qui non si tratta di mettere in discussione le qualità imprenditoriali di un uomo che ha una marcia in più; qui si sta parlando di funzionamento dell’amministrazione statunitense, dei rapporti fra la superpotenza e la rete dei suoi alleati europei, della capacità di dialogare in modo strategico con gli avversari. A cominciare dalla Cina.

Questa è tutt’altra faccenda: qualcosa che non troviamo da nessuna parte nella Costituzione piena di check and balance scritta dai Padri fondatori statunitensi.

Di Fulvio Giuliani

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