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La vittoria di Trump e del realismo. Nobel o non Nobel

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A Gaza il cambio di passo – che con estrema prudenza era stato sottolineato anche qui – è arrivato, dato di fatto, con la presentazione del piano in 20 punti da parte del presidente statunitense Donald Trump

La vittoria di Trump e del realismo. Nobel o non Nobel

A Gaza il cambio di passo – che con estrema prudenza era stato sottolineato anche qui – è arrivato, dato di fatto, con la presentazione del piano in 20 punti da parte del presidente statunitense Donald Trump

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La vittoria di Trump e del realismo. Nobel o non Nobel

A Gaza il cambio di passo – che con estrema prudenza era stato sottolineato anche qui – è arrivato, dato di fatto, con la presentazione del piano in 20 punti da parte del presidente statunitense Donald Trump

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Quando abbiamo letto le notizie che arrivavano da Sharm el-Sheikh e Washington, una volta consumato il lampo di sincera speranza e – perché no? – umana emozione, ci siamo concentrati sul realismo.

Unico approccio che continuiamo a ritenere possibile in questa fase. Il realismo nel definire una scala di priorità negli obiettivi da raggiungere step by step, partendo da ciò che si può ottenere subito, per poi lavorare sui temi via via più complessi.

Il cambio di passo, che con estrema prudenza era stato sottolineato anche qui, è arrivato – dato di fatto – con la presentazione del piano in 20 punti da parte del Presidente degli Usa Donald Trump. Un cambio di passo reso possibile proprio dall’accresciuto ed evidente realismo dello stesso capo della Casa Bianca.

Nel momento in cui Trump ha abbandonato gli allucinati i progetti di Riviera e quant’altro, ha tolto carta bianca al governo israeliano e alla sua anima più estremista, ha concesso ai mediatori arabi di poter fare il proprio lavoro con concrete possibilità di successo. Li ha rimessi in campo, riprendendo quel ruolo che è storicamente proprio delle amministrazioni americane di qualsiasi orientamento: sovrintendere, garantire e stimolare le trattative.

Gaza, il piano

Eccoci così allo scambio ostaggi-prigionieri. Netanyahu riporta a casa i 20 ostaggi sopravvissuti ai due anni successivi il 7 ottobre 2023 e in qualche modo tien fede alla parola data di fare ogni sforzo per salvare chi è ancora in vita.

Hamas ottiene la liberazione di 1.950 prigionieri fra cui un rilevante numero di ergastolani. E a sua volta può agitare la bandiera della “vittoria”, in particolar modo se aggiungiamo il ritiro parziale accettato da Israele.

Una vittoria di Donald Trump e della diplomazia

Questa è una vittoria di Donald Trump e della diplomazia, nello specifico della diplomazia americana, rientrata in gioco quando sono state abbandonate le posizioni irrealistiche e oltranziste.

È incredibile come si sia fatto diventare un reale argomento di discussione il Nobel a Trump, che oggi lui si aspetterà più che mai e qualsiasi uomo di buona volontà sulla terra gli conferirebbe anche quattro volte, pur di raggiungere un risultato.

Diplomazia è però anche lotta alle illusioni, soprattutto le più facili e a buon mercato: non è la prima volta che palestinesi e israeliani si mettono a un tavolo e raggiungono un’intesa. Ne sono state già firmate di storiche, almeno in due occasioni (Rabin-Arafat e Barak-Arafat) eppure siamo qui, davanti alle macerie di quella che era Gaza e alle ferite non rimarginabili nell’animo degli israeliani dopo il 7 ottobre.

Valga da monito.

Potrebbe essere l’ultima chiamata per Netanyahu, il premier più longevo e detestato nei 77 anni, di Israele, prima di consegnarsi alla storia come l’uomo che non seppe prevedere il 7 ottobre e scatenò una reazione che ha isolato il Paese, come mai dalla sua fondazione a oggi.

di Fulvio Giuliani

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