L’America dell’odio
Dopo l’attentato a Trump, gli Stati Uniti d’America si sono scoperti più fragili, più divisi, incomunicabili, sospettosi e furiosi che mai
L’America dell’odio
Dopo l’attentato a Trump, gli Stati Uniti d’America si sono scoperti più fragili, più divisi, incomunicabili, sospettosi e furiosi che mai
L’America dell’odio
Dopo l’attentato a Trump, gli Stati Uniti d’America si sono scoperti più fragili, più divisi, incomunicabili, sospettosi e furiosi che mai
Dopo l’attentato a Trump, gli Stati Uniti d’America si sono scoperti più fragili, più divisi, incomunicabili, sospettosi e furiosi che mai
24 ore abbondanti dopo lo shock dell’attentato a Donald Trump, tutto quello che abbiamo commentato a caldo acquista – se possibile – ancora più forza. Con quel proiettile passato a un centimetro dal cranio dell’ex Presidente e candidato alla Casa Bianca e gli altri che hanno mietuto un morto e feriti fra la folla del comizio in Pennsylvania, gli Stati Uniti d’America si sono scoperti più fragili che mai. Più divisi che mai. Più incomunicabili, sospettosi e furiosi che mai.
Oltre le parole (sacrosante) di prammatica del presidente Joe Biden, dell’ex presidente Barack Obama e di tutti i leader mondiali, la verità è che la società americana non si riconosce più. Sopra ogni altra cosa, non riconosce la legittimità dell’avversario politico.
Torniamo sul punto, perché riteniamo sia vitale riflettere sui conti che non sono stati mai fatti. Sulle verità che non sono state mai dette fino in fondo e che riportano sempre alla spaccatura mai sanata dell’assalto a Capitol Hill. Questo certo non significa, come gli zelanti ultras sono sempre pronti a commentare, ascrivere assurdamente una qualche responsabilità di quanto accaduto a Butler alla vittima dell’attentato stesso.
Donald Trump ha rischiato di essere ucciso come troppe volte è capitato ai Presidenti nella storia degli Usa, che è anche storia di violenza politica cieca e spesso mai chiarita fino in fondo.
Piuttosto che abbandonarsi al complottismo e alle teorie più assurde – ieri ci è toccato di ascoltare e leggere di tutto: dal piano della “sinistra“ per far fuori il candidato troppo forte, all’”autoattentato“ ordito per assicurare a The Donald l’aura del martire – bisognerebbe tornare alla cruda verità: accadeva già prima di quel giorno infausto, ma dall’assalto fisico ai simboli della Repubblica le due Americhe si detestano. Con un grado di violenza e incomunicabilità spaventoso.
Non fanno neppure più finta di avere una comune base intoccabile di valori. Se l’odio è più forte di qualsiasi volontà razionale, se le differenze vengono percepite come antropologiche e non più solo ideologiche, la democrazia americana viene scossa sino alle fondamenta.
È il fatto che i due grandi partiti non hanno voluto guardare, con i democratici convinti di aver risolto la pratica con la semi-miracolosa vittoria di Biden e i repubblicani totalmente incapaci di trovare un’alternativa all’Opa ostile di Trump. Ecco perché le prossime giornate saranno cruciali, a cominciare dalla convention repubblicana che incoronerà il tycoon: saranno fondamentali le parole e i toni scelti. Le immagini offerte a un pubblico ipersensibile e ormai portato oltre il livello di guardia.
Come i democratici, svolto il compito facile della solidarietà dovuta a Trump, dovranno infine decidere non solo con chi, ma come correre alle presidenziali. Perché per ora non l’ha capito nessuno.
Di Fulvio Giuliani
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