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Burqa

L’apartheid delle donne afghane

Sotto il regime “talebanocratico” dall’agosto 2021 l’Afghanistan è sprofondato nella notte oscurantista di una misogina apartheid

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L’apartheid delle donne afghane

Sotto il regime “talebanocratico” dall’agosto 2021 l’Afghanistan è sprofondato nella notte oscurantista di una misogina apartheid

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L’apartheid delle donne afghane

Sotto il regime “talebanocratico” dall’agosto 2021 l’Afghanistan è sprofondato nella notte oscurantista di una misogina apartheid

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Sotto il regime “talebanocratico” dall’agosto 2021 l’Afghanistan è sprofondato nella notte oscurantista di una misogina apartheid

Sotto il regime talebanocratico dall’agosto 2021 l’Afghanistan è sprofondato nella notte oscurantista di una misogina apartheid. L’Onu definisce la situazione afghana come una «apartheid di genere». Ma specificare di quale genere si tratta, persino nelle espressioni d’impatto, è fondamentale. È l’apartheid delle donne.

Le donne, in quanto donne, sono state sostanzialmente deportate nelle case, spazzate via dalla vita pubblica con divieti di andare in bicicletta, divieti di praticare sport, divieti di recitare poesie o cantare in pubblico, divieti di frequentare istituti d’istruzione successiva a quella primaria, divieti di frequentare parchi. Il regime talebanocratico, però, non si accontenta di ciò. Stando agli ultimi ordini dittatoriali, la segregazione domestica delle donne – che già di per sé rappresenta una pena socio-esistenziale sostanzialmente inframuraria – viene aggravata dall’isolamento in spazi casalinghi senza finestre. Di recente la talebanocrazia ha infatti vietato l’apertura di finestre su aree destinate alle donne e per di più ha imposto di chiudere quelle già esistenti, ordinando alle autorità municipali e ai Dipartimenti competenti di monitorare i cantieri per garantire che non sia possibile vedere nelle case dei vicini. Nel caso in cui tali finestre esistano, come è normale che sia in ogni casa che si rispetti, i proprietari sono incoraggiati a costruire un muro o a ostruire la vista «per evitare fastidi causati ai vicini».

Nella irrazionale e abominevole ottica che ispira l’ordine talebano «vedere le donne lavorare in cucina, nei cortili o raccogliere l’acqua dai pozzi può portare ad atti osceni»: è stata questa la spiegazione, che qui in Italia ordinariamente chiameremmo “ratio legis” ma che non possiamo accostare nemmeno morfologicamente alla parola “ragione”. Ragioniamo (noi!): la loro ‘spiegazione’ parte da un presupposto assolutamente errato, secondo cui il corpo e l’essenza delle donne sarebbero peccaminosi e quindi criminogeni, in una visione che congiunge o addirittura fa coincidere oscurantismo religioso e oscurantismo giuridico. Il vero presupposto da cui partire è invece la bassezza ideologica e psicologica degli uomini talebani attualmente al potere in Afghanistan: soltanto uomini che hanno un infimo potenziale etico, una fortezza emotiva azzerata e un patologico disequilibrio psicologico-ormonale possono concepire idiozie così tetre come quella di vedere la donna in sé come fonte di peccato, scandalo, reato o come una musa ispiratrice di mere oscenità.

L’apartheid misogina diventa imbarazzante, oltre che vergognosa, per gli uomini che appoggiano le talebanocrazie in Afghanistan o in ogni angolo del mondo dove vengono ancora perpetrate queste manifeste forme d’ingiustizia. Ogni Stato di diritto liberaldemocratico deve fare la sua parte. Pure la nostra lotta demolibertaria globale a suon di diplomazia e politica.

Di Luigi Trisolino

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