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L’assurda Riviera

La tentazione di derubricare il progetto di Donald Trump per una Riviera a Gaza alla “classica” provocazione è un’illusione

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L’assurda Riviera

La tentazione di derubricare il progetto di Donald Trump per una Riviera a Gaza alla “classica” provocazione è un’illusione

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L’assurda Riviera

La tentazione di derubricare il progetto di Donald Trump per una Riviera a Gaza alla “classica” provocazione è un’illusione

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La tentazione di derubricare il progetto di Donald Trump per una Riviera a Gaza alla “classica” provocazione è un’illusione

No, non è uno scherzo. La tentazione di derubricare il progetto per Gaza di Donald Trump, esposto durante l’incontro alla Casa Bianca con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, alla “classica” provocazione del Presidente per costringere le parti in causa a sedersi a un tavolo e cominciare a trattare è una pericolosa illusione.

Innanzitutto, qui non stiamo parlando del pur delicatissimo tema dei dazi. Donald Trump ha istituzionalizzato la sua idea di sgomberare l’intera Striscia dai poco meno di 2 milioni di palestinesi che vi abitano per farne una Riviera. Trasferirli, perché se scriviamo “deportarli” le anime belle del trumpismo all’italiana si adombrano.

E allora parliamo pure di trasferimenti, ma dove? Il 47º Presidente Usa lo ha detto e ribadito. Egitto e Giordania dovranno farsi carico dei civili espulsi da quel mare di macerie in cui è stata ridotta la Striscia. Hanno già detto di no. Ma lo stesso Trump ha sottolineato, con l’espressione di chi la sa lunga, di essere convinto che le cose cambieranno. Il sottinteso è spietato. La Casa Bianca è pronta a mettere sul tavolo la pistola, sotto forma di minaccia di cancellazione degli aiuti economici e militari al Cairo e ad Amman.

Mettere a repentaglio le alleanze stesse e la stabilità interna di questi due Stati lascia con la mascella cadente. Il dittatore egiziano Al Sisi o il re Abdallah II di Giordania, dovessero solo accennare a un sì a un progetto di delocalizzazione di 2 milioni di palestinesi, vedrebbero esplodere i propri Paesi. Per devastanti tensioni interne da un lato. Perché il panarabismo è sempre utile alla retorica a quelle latitudini, ma i palestinesi non li vuole nessuno. Come dimostrano decenni di storia amarissima. E, d’altra parte, perché sotterrare l’idea della formula “Due popoli, due Stati” garantirebbe al generale del Cairo e all’antichissima dinastia hashemita un’autostrada diretta all’inferno.

Proprio l’aver seppellito i “Due popoli, due Stati” ha portato Trump a ricevere, ieri mattina all’alba, una porta sbattuta in faccia dall’alleato più potente e importante della regione. L’Arabia Saudita. Un “no” così secco e fragoroso da non lasciare spazio a dubbi. Riyad, lo sanno tutti, è assolutamente interessata a stabilire rapporti normalizzati con Israele nel quadro dei Patti d’Abramo. Ma l’intero castello si regge sulla capacità del Paese custode dei luoghi santi dell’Islam e baluardo sunnita di difendere l’idea stessa di uno Stato per i palestinesi. È impensabile per un uomo pragmatico, cinico all’occorrenza ma anche visionario come il principe Bin Salman.

A valle di tutte queste considerazioni, ci sarebbe poi lo stupore per l’idea stessa. Sgomberare, traslocare, cacciare, deportare – scegliete voi il verbo – poco meno di 2 milioni di persone. E poi costruire strutture ricettive, forse una sequenza di resort, alberghi, spiagge attrezzate e vai a capire cos’altro. Una Riviera. In un’area che potrebbe finire solo sotto controllo diretto di Israele, in buona sostanza annessa.

Di Fulvio Giuliani

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