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Le università che boicottano Israele

La questione dei boicottaggi universitari nei confronti di Israele sta assumendo in Italia contorni di inaudita gravità

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Le università che boicottano Israele

La questione dei boicottaggi universitari nei confronti di Israele sta assumendo in Italia contorni di inaudita gravità

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La questione dei boicottaggi universitari nei confronti di Israele sta assumendo in Italia contorni di inaudita gravità

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La questione dei boicottaggi universitari nei confronti di Israele sta assumendo in Italia contorni di inaudita gravità

La questione dei boicottaggi universitari nei confronti di Israele, attraverso lo stop alle collaborazioni accademiche, sta assumendo in Italia contorni di inaudita gravità.

All’Università di Torino hanno deciso di porsi a ‘all’avanguardia’ in questa corsa all’inciviltà e alla negazione di ogni principio connesso alla vita universitaria. Ispirata, per sua stessa natura, al confronto fra le idee, alla sintesi fra le posizioni anche più distanti fra loro. Negare diritto di cittadinanza in un’università non a una politica o a un governo – che più se ne stanno lontani dagli atenei e meglio ci sentiamo – ma a una cultura, a un popolo, a un sentimento è aberrante.

All’Università di Torino, da quello che leggiamo e ascoltiamo, è rimasta soltanto una manciata di professori pronti a prendere posizione pubblica contro l’idea del boicottaggio a Israele. Non perché si debba sostenere la politica di Benjamin Netanyahu, che era un disastro ben prima dell’angosciante giornata del 7 ottobre, ma perché qui si tratta di non tradire sé stessi. Di non sostituire all’ansia di conoscenza e comprensione la voglia di erigere muri. Si badi, da quelli ideali ai quelli materiali il passo è sempre stato drammaticamente breve nella storia dell’uomo.

Se cominciamo a edificare barriere ideologiche in un’aula universitaria parlando a dei ventenni – educandoli in qualche misura alla cultura dell’esclusione o, parimenti, subendone passivamente qualsiasi pulsione di ‘moda’ – imboccheremo la strada verso gli inferi dell’odio. Dell’incapacità di distinguere fra una democrazia e un movimento come Hamas, ispirato dalla teocrazia iraniana. Un luogo della Terra, cari ragazzi, dove si muore per una ciocca di capelli mal pettinata.

Se non ci ribellassimo verremmo meno al nostro diritto-dovere alla conoscenza, all’approfondimento, alla dialettica fra le idee che hanno bisogno di germogliare e rafforzarsi proprio in ambienti come le università. Se non lì, dove possiamo costruire una coscienza comune in grado di rispondere alla cultura della divisione e alla politica della distruzione?

È angosciante ciò che sta accadendo all’Università di Torino ed essere ‘filo israeliani’ in questo caso non c’entra nulla. Perché oggi tocca a Israele – in ossequio a vecchie ideologie morte e sepolte, ma sempre pronte a riemergere come zombie – ma domani potrebbe toccare a noi o a una parte di noi. Se c’è qualcosa che ha contraddistinto la cultura occidentale dalla notte dei tempi (pur con tutte le spaventose cadute) è stata la purissima ansia di conoscenza. Da quando degli uomini sulle rive dell’Asia minore cominciarono a porsi domande sui perché del mondo e dell’esistenza la nostra evoluzione è stata segnata dalla curiosità, dalla capacità di ascoltare, assorbire, apprendere ciò che apparentemente si mostrava alieno. Il peggio l’abbiamo dato ogni volta che ci siamo chiusi e abbiamo ceduto alle teorie dell’esclusione e della superiorità di questo o di quello. Assaggiando il peso dell’orrore.

Resta un mistero doloroso come si possa replicare un simile errore nel luogo che nasce per aprire la mente e indurre i più giovani a coltivare il dubbio come motore della crescita dell’individuo e della società. No, non è solo una questione dell’Università di Torino o di chi contesti in qualsiasi scuola o ateneo. È la mancanza del senso del limite a spaventare.

di Fulvio Giuliani

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