L’era Gorbaciov
L’addio a Mikhail Gorbaciov, un uomo che ha fatto la storia anche grazie al suo immancabile rifiuto di ricorrere alla violenza.
| Esteri
L’era Gorbaciov
L’addio a Mikhail Gorbaciov, un uomo che ha fatto la storia anche grazie al suo immancabile rifiuto di ricorrere alla violenza.
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L’addio a Mikhail Gorbaciov, un uomo che ha fatto la storia anche grazie al suo immancabile rifiuto di ricorrere alla violenza.
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L’addio a Mikhail Gorbaciov, un uomo che ha fatto la storia anche grazie al suo immancabile rifiuto di ricorrere alla violenza.
Due immagini aiutano a capire cosa abbia rappresentato Mikhail Gorbaciov per tanti di noi. Quando scriviamo “noi”, intendiamo l’Occidente, quella parte di mondo che vinse la Guerra fredda nella seconda metà degli anni Ottanta, quasi incredulo che fosse finita e così in fretta.
La prima è del 1989: la visita dell’allora segretario del Pcus a Roma (e a papa Wojtyla). Un bagno di folla impressionante, un entusiasmo popolare trascinante, sconvolgente, la prova tangibile della speranza che l’uomo della glasnost e della perestrojka aveva fatto esplodere nei cuori di un’intera generazione. Un simile delirio ha un solo precedente paragonabile: la storica visita di John Fitzgerald Kennedy a Napoli nel 1963.
La seconda immagine è del 1999: lo straziante ultimo abbraccio di Mikhail Gorbaciov all’amatissima moglie Raissa, il giorno del funerale della compagna di una vita. Quell’amore incondizionato, sincero e ostentato con naturale dolcezza aveva fatto dell’ultimo leader sovietico un alieno in terra russa. Il mondo, abituato ai glaciali segretari comunisti – al volto ieratico e scolpito nel marmo di Leonid Brezhnev (immutabile negli anni giovanili come quando incartapecorito) e alle mummie che lo seguirono (Jurij Andropov e Konstantin Cernenko) – subì uno choc con l’avvento del 54enne Mikhail. Un uomo del tutto simile ai leader occidentali. In effetti, più giovane di loro e per certi aspetti più moderno, precursore di quella capacità di gestire l’immagine che presto sarebbe diventata un’ossessione. Ancora una volta, l’unico paragone possibile è con Kennedy e il suo matrimonio da fiaba con Jacqueline. Solo che quella era una storia sostanzialmente falsa, mentre l’amore fra Mikhail Gorbaciov e Raissa Gorbaciova superò qualsiasi prova, compreso il disfacimento dell’Unione Sovietica.
Non fatichiamo a comprendere ancora oggi quanto possa essere stato detestato Gorbaciov in patria per aver ‘firmato’ la disgregazione dell’impero sovietico e avviato quella crisi terrificante che, avvitandosi su sé stessa, spinse decine di milioni di russi praticamente alla fame. Il fallimento economico del sogno di Gorbaciov era in premessa, perché quel sistema non poteva essere curato dall’interno. Era marcio sino alle fondamenta e, privato dei sistemi di autodifesa basati su corruzione e corporativismo, semplicemente si dissolse. Gorbaciov aveva visto e capito tutto, mentre intorno a lui facevano finta di niente. Comprese che non c’era alternativa alla pace con l’Occidente e alla fine di una corsa suicida agli armamenti che l’Urss non poteva vincere e aveva già perso. Come vent’anni prima aveva perso la corsa alla Luna.
Fu tanto visionario e pragmatico in politica estera quanto incapace di capire il suo stesso Paese in politica interna. Resta, però, un colosso, se paragonato a ciò che ci è dato in sorte oggi. A un piccolo zar che ha riscoperto il gusto della violenza e del dolore come arma di coercizione della volontà del suo popolo e dei vicini. Gorbaciov, morto solo e dimenticato, molti anni fa aveva avvertito su quanto l’unica strada nota a Putin per la conservazione del potere fosse la paura. In troppi non vollero ascoltare l’avvertimento.
I meriti storici sono innumerevoli ma se dovessimo sceglierne uno, oltre alla capacità di cercare un contatto umano con Ronald Reagan – pur sempre l’uomo che aveva definito la sua amata Russia «l’impero del male» – indicheremmo il rifiuto del ricorso alla violenza. Prima ancora della caduta del Muro, lo aveva fatto capire in modo inequivocabile. Allo stralunato leader della moribonda Germania Est, Erich Honecker – che gli chiedeva di poter usare il pugno di ferro per reprimere una voglia di libertà ormai insopprimibile – Gorbaciov si limitò a rispondere: «La vita non è mai tenera con chi è in ritardo».
In clamoroso ritardo era un oscuro tenente colonnello del Kgb di stanza a Dresda mentre il Muro collassava: invocava i carri armati, ma a Mosca non rispondeva più nessuno. Vladimir Putin cominciò a provare allora quell’odio accresciuto sempre più dalla fine dell’impero sovietico. E l’odio è da sempre il sentimento degli uomini piccoli e condannati dalla Storia.
Di Fulvio Giuliani
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