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L’Italia disastrosa nel sostegno militare a Kiev

Abbiamo inviato tante armi, ma ‘vecchie’. La stragrande maggioranza dei sistemi forniti da Roma sono fondi di magazzino delle nostre Forze armate

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L’Italia disastrosa nel sostegno militare a Kiev

Abbiamo inviato tante armi, ma ‘vecchie’. La stragrande maggioranza dei sistemi forniti da Roma sono fondi di magazzino delle nostre Forze armate

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L’Italia disastrosa nel sostegno militare a Kiev

Abbiamo inviato tante armi, ma ‘vecchie’. La stragrande maggioranza dei sistemi forniti da Roma sono fondi di magazzino delle nostre Forze armate

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Abbiamo inviato tante armi, ma ‘vecchie’. La stragrande maggioranza dei sistemi forniti da Roma sono fondi di magazzino delle nostre Forze armate

Quando si chiedono al ministro della Difesa Crosetto i limiti del nostro supporto a Kiev, la risposta è sempre la stessa: «L’Ucraina non può colpire obiettivi in Russia con le nostre armi». In effetti è la verità: se pure volesse, Zelensky non potrebbe raggiungere il suolo russo con i nostri armamenti perché ciò che ha ricevuto non è in grado di farlo.

A oggi non ci sono informazioni precise su quante e quali armi l’Italia abbia inviato all’Ucraina. Sia il governo Draghi sia quello Meloni hanno secretato le liste materiali di tutti e nove i pacchetti di aiuti fin qui deliberati. Eppure qualche informazione è trapelata dal dibattito politico e molte altre arrivano dal campo di battaglia. Grazie a foto, video e testimonianze possiamo farci un’idea di cosa il nostro Paese ha mandato fino a oggi a Kiev. Il responso? Enormi quantitativi di forniture mediche, generatori e aiuti alla popolazione civile. In quanto ad armi abbiamo sempre inviato tanto, ma di ‘vecchio’. La stragrande maggioranza dei sistemi forniti da Roma sono infatti fondi di magazzino delle nostre Forze armate. Si parla di sistemi anticarro leggeri Panzerfaust-3 e Milan e antiaerei Stinger, tutti da tempo ritirati o in via di ritiro dal servizio. Lo stesso vale per mitragliatrici Mg42/59, giubbotti antiproiettile ed elmetti anni Novanta.

Il vero imbarazzo sta però nel capitolo veicoli. Sì, c’è qualche moderno blindato Lince, ma dalle fonti sul campo sembra sia arrivato anche qualche Puma, mezzo piuttosto criticato dai nostri militari a causa di una protezione considerata insufficiente. Poi ci sono decine di vecchi cingolati M113, abbandonati per anni nel deposito militare di Lenta, nel vercellese. L’Italia li avrebbe rimessi in funzione e inviati a Kiev, che poi si sarebbe lamentata dello stato pietoso di manutenzione, costringendoci a riportarli indietro per ulteriori lavori di ripristino. Una gran figuraccia.

E le armi a lungo raggio, quelle che potrebbero colpire la Russia, dove sono? Probabilmente anche quelle in officina, visto che il grosso degli aiuti sarebbero vecchi obici semoventi M-109. Ne sarebbero stati consegnati almeno una quindicina, tutti formalmente operativi ma talmente malconci da costringere gli ucraini a cannibalizzarne alcuni per tenere in servizio gli altri. Questi mezzi, come anche i successori Pzh-2000 e gli obici campali da 105 (M56) e 155 millimetri (Fh70) – tutti riscontrati al fronte, oltre che in servizio attivo nel nostro esercito – sono gli unici con una gittata tale da superare la frontiera, seppur di pochi chilometri. Ma per farlo servono munizioni che, lamentano da Kiev, l’Italia non fornisce in numero congruo. Come potremmo, dato che i nostri arsenali hanno scorte insufficienti anche per i nostri reparti?

Al di là della retorica e di qualche aiuto davvero utile (i missili antiaerei Samp-T e forse qualche Storm Shadow), quello che manca davvero al nostro Paese sono appunto gli stock. L’Italia, che giustamente ha scelto di sostenere l’Ucraina e continua (con molti limiti) a farlo dal febbraio 2022, ha poche armi in servizio e deposito, insufficienti anche per l’operatività quotidiana dei nostri militari. Cosa si può inviare a Kiev se non vecchia ferraglia? Si potrebbe pensare di incrementare finalmente la produzione e l’acquisto di armamenti come fatto da altri Paesi, pure per armare l’Ucraina. Ma se contiamo che anche forze interne al governo – da sempre amiche di Vladimir Putin – mostrano una chiara paura di ritorsioni russe, è chiaro che Roma non contribuirà mai più di così.

Il risultato è che, mentre i nostri già vuoti depositi si liberano di vecchie lamiere e la politica si imbarazza per nascondere i limiti del nostro supporto, all’Ucraina non resta che combattere con quello che forniscono altri. Che hanno di certo più armi da dare, ma anche più volontà di noi.

Di Umberto Cascone

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