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L’Italia potrebbe formare i piloti ucraini in strutture di eccellenza

La nostra Aeronautica Militare non si convince ad aprire le sue scuole gettonate di volo al Paese amico che più di tutti ne avrebbe bisogno: l’Ucraina

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L’Italia potrebbe formare i piloti ucraini in strutture di eccellenza

La nostra Aeronautica Militare non si convince ad aprire le sue scuole gettonate di volo al Paese amico che più di tutti ne avrebbe bisogno: l’Ucraina

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L’Italia potrebbe formare i piloti ucraini in strutture di eccellenza

La nostra Aeronautica Militare non si convince ad aprire le sue scuole gettonate di volo al Paese amico che più di tutti ne avrebbe bisogno: l’Ucraina

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La nostra Aeronautica Militare non si convince ad aprire le sue scuole gettonate di volo al Paese amico che più di tutti ne avrebbe bisogno: l’Ucraina

La nostra Aeronautica Militare è sempre più gettonata per la formazione dei piloti militari. Eppure questo status non sembra sufficiente per convincere il nostro governo ad aprire le sue scuole di volo al Paese amico che, in questo momento, ne ha più bisogno: l’Ucraina, che da mesi cerca di costruire una forza aerea credibile e competitiva per fronteggiare la Russia, ma manca tanto di macchine quanto di aviatori.

Il 12 settembre Budapest ha firmato un accordo con Roma per spedire i futuri piloti militari ungheresi nella Penisola per dare loro la formazione di volo basica, oltre che la specializzazione sugli aerei da caccia. L’Ungheria è soltanto l’ultima nazione a prendere questa decisione. Arabia Saudita, Austria, Canada, Germania, Giappone, Kuwait, Paesi Bassi, Qatar, Regno Unito, Singapore e Svezia già si avvalgono dei nostri servigi: chi per l’intero processo di addestramento, chi per piccoli gruppi di ufficiali. Le scuole italiane si trovano a Galatina (in capo al 61° Stormo) e a Cagliari-Decimomannu (alla International Flight Training School). In Puglia avvengono le prime due fasi della formazione, il volo basico e quello a reazione; in Sardegna i piloti completano invece la transizione sugli aerei da caccia, prima di tornare in patria e prendere servizio.

Si tratta di strutture di eccellenza e con un’ormai comprovata esperienza internazionale. Viene naturale pensare che, da Paese sostenitore dell’Ucraina, l’Italia dovrebbe essere la prima a mettersi in gioco per addestrare gli aviatori di Kiev. E infatti la stessa presidente del Consiglio Giorgia Meloni, nel maggio 2023, aveva assicurato a Zelensky che le porte delle nostre scuole sarebbero state aperte, ma solo quando altri Stati avessero iniziato a formare gli ucraini. Una circostanza poi divenuta realtà con l’avvio del programma di fornitura dell’F-16.

Da allora le promesse del nostro governo sono scomparse dai radar. Le rare volte in cui i giornalisti hanno chiesto notizie hanno ricevuto una risposta vaga: «L’Italia non ha i velivoli attualmente in dotazione a Kiev, quindi non è adatta». Verissimo, se pensiamo solo alla transizione sul velivolo finale. Ma agli ucraini serve anche la formazione base per i nuovi piloti, direttamente su piattaforme di concezione occidentale. Questo da noi sarebbe possibile. Del resto anche la Francia, che gli F-16 non li ha mai avuti (a differenza nostra, che li abbiamo schierati dal 2003 al 2012, sviluppando competenze ed esperienze specifiche), sta addestrando i neo-aviatori di Zelensky.

Perché dunque non aiutare? Forse anche questo, nell’ottica della nostra classe politica, è equiparabile a un attacco diretto alla Russia? Ci auguriamo di no, perché si tratterebbe di un clamoroso abbaglio. Forse, piuttosto, è solo un modo per evitare futuri tira e molla. Perché addestrare gli ucraini al volo potrebbe rinvigorire le richieste di Kiev alla nostra Aeronautica: trasferire in Ucraina gli Amx “Ghibli” appena ritirati dal servizio e qualche Tornado in fase di smobilitazione (anche i britannici li stanno pensionando e stanno valutando la possibilità di donarli all’Ucraina). Si tratta di aerei specializzati nel supporto alle operazioni di terra e nell’attacco al suolo, esattamente quello che serve a Zelensky. Gli ucraini li chiedono da mesi ma da Roma filtra soltanto il solito ambiguo silenzio. Come sull’addestramento eccellente, che potrebbe aiutare gli aggrediti a fronteggiare al meglio un nemico che conta molto su numeri e forza bruta ma assai poco sulla qualità.

di Umberto Cascone

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