L’umanità dei volontari italiani che combattono per l’Ucraina
In campo con l’esercito ucraino ci sono anche alcuni volontari italiani. Y. e P. raccontano le difficoltà della vita al fronte, le paure di ogni giovane che combatte ma anche l’umanità profonda di chi vive la guerra sulla propria pelle

L’umanità dei volontari italiani che combattono per l’Ucraina
In campo con l’esercito ucraino ci sono anche alcuni volontari italiani. Y. e P. raccontano le difficoltà della vita al fronte, le paure di ogni giovane che combatte ma anche l’umanità profonda di chi vive la guerra sulla propria pelle
L’umanità dei volontari italiani che combattono per l’Ucraina
In campo con l’esercito ucraino ci sono anche alcuni volontari italiani. Y. e P. raccontano le difficoltà della vita al fronte, le paure di ogni giovane che combatte ma anche l’umanità profonda di chi vive la guerra sulla propria pelle
Kyiv – «Stiamo ancora combattendo per l’indipendenza dell’Ucraina, per favore fate quello che potete per combattere contro la propaganda russa. La guerra non è finita, non dimentichiamolo». A lanciare questo appello agli italiani, durante la manifestazione organizzata dall’Associazione Europa Radicale tenutasi il 9 maggio in Piazza Indipendenza, è stato Y., un giovane italiano arruolatosi volontariamente nella Legione internazionale dell’esercito ucraino. Fra qualche mese compirà 30 anni e ha già trascorso due compleanni e tre pasque al fronte, lontano dalla sua Bergamo. «Ormai la sento una causa mia» ci racconta. Prima di partire per la guerra era un autista. Quando gli chiediamo perché abbia deciso di stravolgere la sua vita, capiamo l’enorme significato umano della sua scelta: «Semmai di migliorarla» ci corregge. «Sto facendo qualcosa che è utile. Grazie al mio lavoro permetto ad altri cittadini, che stanno qui in Ucraina, di vivere una vita ‘normale’, seppur difficile».
Del momento in cui ha deciso di lasciare l’Italia per difendere un Paese come fosse la sua stessa patria, Y. ricorda ogni dettaglio. Era il 28 febbraio 2022 e Zelensky pubblicava un video in cui chiedeva a chiunque condividesse i valori dell’Ucraina di unirsi alla lotta. «L’ho fatto per aiutare l’Ucraina» racconta. «Sono nato nel 1995 e non ho mai visto delle bombe a casa mia. Qui un ragazzo nato nel 2014 è cresciuto nella guerra. Quando ho visto il video ho pensato: “Sto bene, sono in salute, posso permettermi di sacrificare la mia vita per la libertà di qualcun altro”».
Delle difficoltà al fronte parla con consapevolezza ma allo stesso tempo senza alcuna traccia di lamento, come se la cosa più difficile di questa guerra non sia la trincea quanto la vita stessa degli ucraini. «Comunicare con i propri cari nella linea 0 è impossibile. Solitamente la rotazione dei soldati dura 4 giorni, ma anche nelle zone adibite non sempre si ha la possibilità di collegarsi a Starlink».
Il suo impatto con il fronte è stato forte, la sua prima missione è stata quella di recuperare i cadaveri di alcuni compagni caduti in battaglia. «È lì che ho conosciuto la morte» ci spiega. Per l’esercito russo i commilitoni morti sono invece soltanto dei numeri. «Non recuperano nemmeno i loro corpi, li lasciano lì perché non sono interessati nemmeno a dargli una degna sepoltura» continua. «Non sono umani. Noi li chiamiamo zombie». Quando gli chiediamo se abbia mai catturato un soldato nemico, la sua risposta ci spiazza e mostra l’umanità che si respira nell’esercito ucraino. «Se fosse successo, di sicuro avrei cercato di riportarlo a casa e di scambiarlo con un soldato ucraino. Che magari ora è in prigionia e che a casa ha una famiglia che lo aspetta. Ad alcuni dei nostri compagni è capitato di arrendersi, ma i russi li hanno ammazzati comunque».
Y. conferma la tattica dei russi di avanzare nonostante le perdite e questo perché dalla loro hanno la superiorità numerica. Del resto, dall’inizio della guerra il presidente russo Vladimir Putin ha firmato diversi decreti per l’arruolamento obbligatorio dei cittadini fra i 18 e i 30 anni. L’ultimo ha visto la chiamata alle armi di 160mila giovani. Per la Russia è la più grande mobilitazione dell’esercito degli ultimi 14 anni. Ma vivere la guerra, anche se di un altro Paese, per i nostri volontari italiani significa soprattutto stringere rapporti umani. Anche tra connazionali, come ci racconta P., compagno di Y. «Ci sono altri volontari italiani che combattono al fronte, che sono nostri amici, perché si stringono amicizie anche in queste circostanze. Noi siamo costretti a restare qui non da qualcuno che ci tiene, ma da quello che abbiamo qua» ci dice portando una mano al petto.
Di Claudia Burgio
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