Mal di banca
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Cosa sta succedendo alle banche americane? Tra i diversi fattori uno svetta su tutti: un nuovo modello di business, anche per noi europei
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Cosa sta succedendo alle banche americane? Tra i diversi fattori uno svetta su tutti: un nuovo modello di business, anche per noi europei
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Cosa sta succedendo alle banche americane? Tra i diversi fattori uno svetta su tutti: un nuovo modello di business, anche per noi europei
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AUTORE: Alida Carcano
Le prime notizie sono arrivate negli ultimi giorni di marzo: stava fallendo la Silicon Valley Bank, una banca americana di cui non avevamo mai sentito parlare (ma era il sedicesimo più grande istituto bancario americano, con dimensioni paragonabili a quelle di Mps). E anche una banca europea che invece conosciamo bene, visto che si tratta di Credit Suisse (il secondo istituto bancario svizzero), stava vivendo una fuga di clientela senza precedenti.
Negli ultimi giorni la First Republic Bank, che negli ultimi mesi aveva perso più di 100 miliardi di depositi dei clienti, è stata poi venduta – in una corsa al salvataggio – al colosso JP Morgan. Sin qui una lista nota e forse destinata ad allungarsi, ma cosa è successo?
In primis negli ultimi mesi i tassi di interesse, soprattutto in America, sono saliti molto e in maniera in parte inaspettata: le banche possono così lucrare di più sui prestiti, ma debbono anche remunerare maggiormente i conti correnti al fine di non perdere i clienti. Alcune si sono trovate impreparate e spiazzate. Inoltre molte fra queste avevano acquistato obbligazioni a lunga scadenza per avere delle cedole un po’ più interessanti; nel momento in cui i tassi di interesse hanno incominciato a salire, il corso di queste obbligazioni ha invece iniziato la sua discesa (se sul mercato ci sono titoli di nuova emissione con cedole più elevate, quelli vecchi a cedola bassa non li vuole nessuno, a meno che i prezzi siano più bassi).
Una caratteristica tutta americana è poi la forte esposizione delle banche regionali al settore immobiliare commerciale, che pure è in crisi a causa della risalita dei tassi di interesse. Più di un trilione di prestiti nel settore dell’immobiliare commerciale scadranno entro la fine del 2025. Se le banche inaspriscono le condizioni per concedere nuovi prestiti, molti si troveranno in difficoltà per rifinanziare il proprio debito. In un momento in cui, tra l’altro, sempre più uffici restano vuoti.
C’è infine un fattore nuovo: nell’era dei social la possibilità di diffondere notizie e sensazioni (negative) si allarga a macchia d’olio. Creare il panico è facile. Per trasferire soldi basta un click. Durante l’ultima crisi bancaria del 2008 e nelle crisi precedenti eravamo abituati a vedere le code agli sportelli. Ora non serve più mettersi in fila: comodamente, dal divano di casa propria si può decidere cosa fare con i propri risparmi. Al momento i correntisti non hanno subìto alcuna conseguenza negativa: i risparmiatori sono sempre fortemente tutelati, proprio per evitare che si aggravi la crisi di fiducia. Le situazioni problematiche sono rimaste circoscritte e nessuna delle quattro maggiori banche americane (Bank of America, Citibank, JP Morgan e Wells Fargo) è stata scalfita.
Nell’Unione europea vigono criteri di vigilanza e di regolamentazione differenti e i tassi di interesse hanno raggiunto livelli decisamente più bassi rispetto agli Stati Uniti. La situazione è quindi ben diversa. Tuttavia per alcuni istituti quanto sta accadendo può essere una buona occasione per ripensare al proprio modello di business.
di Alida Carcano
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