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Martin Luther King

Martin Luther King, parlarne oggi

Chissà come mai mi è venuto voglia di scrivere di uno degli uomini più importanti del XX secolo nel campo dei diritti civili, Martin Luther King

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Martin Luther King, parlarne oggi

Chissà come mai mi è venuto voglia di scrivere di uno degli uomini più importanti del XX secolo nel campo dei diritti civili, Martin Luther King

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Martin Luther King, parlarne oggi

Chissà come mai mi è venuto voglia di scrivere di uno degli uomini più importanti del XX secolo nel campo dei diritti civili, Martin Luther King

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Chissà come mai mi è venuto voglia di scrivere di uno degli uomini più importanti del XX secolo nel campo dei diritti civili, Martin Luther King

Chissà come mai mi è venuto voglia di scrivere di uno degli uomini più importanti del XX secolo nel campo dei diritti civili. Ci sono uomini e donne che finiscono per restare prigionieri del proprio mito. Di un’immagine e di una frase. È sempre ingeneroso ma ancor più nel caso del reverendo Martin Luther King jr, uomo il cui messaggio e la battaglia di una vita appaiono oggi – a quasi sessant’anni dalla morte violenta a Memphis – essenziali.

Gli Usa non sono ovviamente gli stessi di allora ma vivono convulsioni di carattere sociale, spaccature, un’aggressività di fondo non così dissimili dagli anni fra la seconda metà dei Cinquanta e la sua morte nel 1968, quando la lotta per i diritti civili raggiunse l’apice.
Di quell’epoca fondante per gli Stati Uniti come li conosciamo oggi, Martin Luther King fu campione indiscusso.

Per le scelte, l’instancabile energia, la forza retorica (quale abisso fra la sua parola e l’imbarazzante semplificazione a uso social di oggi), l’impatto delle battaglie ma sopra ogni altra cosa la fondamentale scelta del rifiuto della violenza. Gli Stati Uniti d’America e il mondo gli devono tanto, ma nulla valse come il credere nella forza gandhiana della non violenza.
È arduo comprendere quale atmosfera si respirasse negli Usa in quegli anni turbolenti, carichi di promesse e paure. Sarebbe bastato un nulla, un invito o un gesto sbagliati per scatenare un incendio di proporzioni incalcolabili.

Martin Luther King non era solo e le sue scelte filosofiche non erano le uniche in campo: negli stessi anni, lungo le stesse strade, si agitavano le Black Panther, risuonavano le parole incendiarie e ultimative di Malcolm X, che in quella “X” identificava il rifiuto della società statunitense di allora, interpretata come pura erede del retaggio schiavista. Avesse “vinto” lui, fosse risultata prevalente la sua lettura dello scontro fra neri e bianchi, la sua messianica convinzione di bollare come marionetta dello Zio Tom qualsiasi nero avesse accettato l’idea del dialogo e dell’integrazione razziale, la deriva del Paese avrebbe potuto prendere rotte impronosticabili.

La forza di Martin Luther King e la sua eredità più cospicua furono dunque le scelte più complesse, le vie più lunghe e tortuose. Non certo una sola frase o una sola marcia, per quanto iconiche.
Il fascino di una figura come quella del reverendo King non viene ridotto dalle umanissime debolezze. Il suo essere uomo difficile nella vita privata e lo stesso rapporto burrascoso con la moglie Coretta (che peraltro avrebbe speso la sua lunga vita per onorare e custodire la memoria del marito) ci ricordano l’eterna sfaccettatura della personalità umana. Il pericolo di lasciarsi affascinare da un impossibile idea di perfezione o “santità”.

Martin Luther King non era un santo, era un pastore. A contare sono le scelte, la coerenza di fondo, ciò che resta di un pensiero e di un’azione con la forza di arrivare fino a noi.

di Fulvio Giuliani

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