Milizie, influenze straniere, religione: al-Jolani stabilizzerà la Siria?
Il leader dei jihadisti al-Jolani di fronte alla prova di governo dopo la presa di Damasco. Attorno a lui una costellazione di gruppi che reclamano la loro parte di potere
Milizie, influenze straniere, religione: al-Jolani stabilizzerà la Siria?
Il leader dei jihadisti al-Jolani di fronte alla prova di governo dopo la presa di Damasco. Attorno a lui una costellazione di gruppi che reclamano la loro parte di potere
Milizie, influenze straniere, religione: al-Jolani stabilizzerà la Siria?
Il leader dei jihadisti al-Jolani di fronte alla prova di governo dopo la presa di Damasco. Attorno a lui una costellazione di gruppi che reclamano la loro parte di potere
Il leader dei jihadisti al-Jolani di fronte alla prova di governo dopo la presa di Damasco. Attorno a lui una costellazione di gruppi che reclamano la loro parte di potere
Il futuro della Siria è tutto da scrivere. Dopo la caduta del sanguinario regime di Bashar al-Assad, il Paese si racconta nuovamente unito e libero. Non è così. L’euforia che in maniera naturale deriva dalla caduta di una tirannia non deve essere un paraocchi che nasconde la realtà. Ovvero che il vasto territorio siriano è diviso tra fazioni, interessi e etnie molti diversi tra loro. Che evolvano verso una pacifica stabilizzazione è tutt’altro che scontato.
Molto dipenderà dal leader de facto del nuovo corso, Abu Muhammad al-Jolani. Capo della milizia jihadista Hts (Hayat Tahrir as-Sham), si è presentato nella natìa Damasco da pacifico liberatore. Ha baciato la terra da cui proveniva, ha pregato con la gente nella grande moschea di Umayyad. Ha garantito sin dall’inizio la libertà di culto a tutte le numerose fedi e frange che popolano il Paese. Per questo l’Occidente guarda con favore alla transizione di poteri.
Ma non va dimenticato che l’Hts è una milizia jihadista. Come lo era a suo tempo l’ormai quasi sparito Isis. Lo stesso al-Jolani non ha un curriculum esattamente democratico. Mujaheddin formatosi in al-Qaeda, il leader ribelle era poi passato alle dipendenze di quello stesso Isis che, dal 2013, rinnegò insieme al movimento che ormai guidava: il fronte al-Nusra. Nel 2017 la formazione si fuse con altri gruppi minori, dando vita all’Hts. L’anima era ancora jihadista, e sulla carta lo è ancora.
C’è da sottolineare, a favore di al-Jolani, che nei territori controllati dai suoi uomini le libertà di culto sembrano essere rispettate, così come le minoranze etniche. Lo stesso leader, che dal 2013 è iscritto nella lista dei terroristi del dipartimento di Stato americano, ora potrebbe vedersi cancellare da quell’elenco, come ventilato nelle ultime ore dai funzionari di Washington.
L’Hts però non è solo. È la milizia più grande e potente, certo, ma ha attorno una galassia di gruppetti minori che potrebbero contribuire all’instabilità. Ma c’è anche un altro attore: il Syrian National Army (Sna), la milizia armata, addestrata e sostenuta dalla Turchia. E proprio Ankara potrebbe giocare un ruolo destabilizzante nel Paese.
Nella regione nordorientale del Rojava, oltre il fiume Eufrate, è da anni attivo un governo piuttosto stabile e parallelo, guidato dalle Syrian Democratic Forces (Sdf). Si tratta di milizie sostenute dagli Stati Uniti, che ospitano un gran numero di curdi inviperiti contro i turchi. Erdogan non fa mistero di voler cancellare questa fazione avversaria, ma finora non ha potuto agire in tal senso. L’Sna era troppo debole e non riconosciuto a livello interno, e Washington non avrebbe accettato interferenze nella sua zona di influenza. Ma ora è cambiato tutto: la Russia è fuori dai giochi (mantiene solo le due storiche basi di Tartus e Latakia, ma i report segnalano che l’evacuazione delle truppe è ormai iniziata), l’Sna è stato fondamentale per la vittoria dell’Hts e gli Stati Uniti non vogliono impantanarsi in un nuovo conflitto.
Che il prossimo obiettivo di al-Jolani sia proprio il Rojava? Al momento pare di no. Le energie del leader sono tutte concentrate sulla stabilizzazione del potere e sull’accettazione del suo dominio da parte della comunità internazionale: non è il momento giusto per pestare i piedi a Washington. Anche se, almeno per ora, la potenza di riferimento per i ribelli potrebbe essere la Russia. Con l’asilo concesso ad Assad, il Cremlino può dettare le sue condizioni: la transizione dei poteri può subire la loro influenza. A Damasco il premier al-Jalali è rimasto in carica per garantire una pacifica successione. E, almeno in teoria, è lui l’autorità riconosciuta a livello internazionale. Si è sganciato da Assad, certo, ma a lui deve il suo ruolo.
Mosca potrebbe quindi ancora dire la sua. Magari concedendo la legittimazione globale al nuovo regime, in cambio di concessioni diplomatiche e militari (Tartus e Latakia restano fondamentali per garantire al Cremlino una presenza nel Mediterraneo). A quel punto, con un tacito accordo di Ankara, l’Sna potrebbe reclamare il Rojava e aprire un nuovo fronte. La guerra civile in Siria, alla luce di questo, è lungi dall’essere conclusa.
Di Umberto Cascone
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