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Il piano di Netanyahu che garantisce solo guerra e odio

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Ormai conosciamo, almeno per grandi linee, la strategia del premier israeliano Benjamin Netanyahu: l’occupazione di una larga porzione della Striscia di Gaza

Netanyahu

Il piano di Netanyahu che garantisce solo guerra e odio

Ormai conosciamo, almeno per grandi linee, la strategia del premier israeliano Benjamin Netanyahu: l’occupazione di una larga porzione della Striscia di Gaza

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Il piano di Netanyahu che garantisce solo guerra e odio

Ormai conosciamo, almeno per grandi linee, la strategia del premier israeliano Benjamin Netanyahu: l’occupazione di una larga porzione della Striscia di Gaza

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Ormai conosciamo, almeno per grandi linee, la strategia del premier israeliano Benjamin Netanyahu: l’occupazione di una larga porzione della Striscia di Gaza non è più un’ipotesi ma un annuncio ufficiale.
Una disposizione alla quale mancano solo i tempi di attuazione, perché quanto ai piani devono essere pronti da tempo.

Lo testimonia indirettamente la reazione nervosa dei vertici dello stesso esercito israeliano che ha reso pubbliche le proprie perplessità riguardo a una mossa che per sua natura metterebbe a rischio la vita degli ultimi ostaggi ancora in vita nelle mani di Hamas. Se l’Idf è arrivato a parlare alla luce del sole dei limiti chiesti al governo nella nuova occupazione di Gaza, possiamo solo immaginare il livello dei contrasti fra gli alti comandi, il premier e gli uomini a lui più vicini. Contrasti non nuovi, di cui si è avuta ripetutamente notizia in questi lunghi mesi e che andranno seguiti con grande attenzione.

Come la rabbia popolare, incarnata dai familiari degli ostaggi che vedono ancor più a rischio la vita di chi è sopravvissuto sino a oggi. Occupare la Striscia di Gaza – questo è il fatto – non è più tabù. L’area che un premier risoluto e “di destra” come Ariel “Arik” Sharon aveva fatto liberare con la forza dalla presenza dei coloni israeliani e restituita (allora) all’Autorità nazionale palestinese.
Nei piani di Netanyahu, dopo averla spianata sottoponendo i civili a prove inenarrabili, tornerebbe sotto diretto controllo israeliano. Questo significa anche il via libera ai coloni, che restano fra le colonne portanti della maggioranza di ultradestra che lo regge al potere. È stato lo stesso premier a parlare senza batter ciglio di “spostamento” di parte della popolazione palestinese.

Per dove? Come? Con l’accordo di chi? Nessuno lo sa e del resto non c’è anima viva nella regione che abbia espresso un sia pur vago sentimento di disponibilità al progetto di deportazione e spopolamento della Striscia.

Netanyahu sta garantendo al suo Paese decenni di guerra. Siamo alla negazione della possibilità di una qualche forma di convivenza che prescinda dal controllo militare israeliano sulla popolazione palestinese. Quest’ultima continuerà ad accumulare frustrazione e odio, condizione ideale per gli estremisti di oggi, per quelli che verranno e per chi cerca martiri da reclutare.

Senza Donald Trump alla Casa Bianca un progetto simile non sarebbe stato mai possibile. Un piano in grado di sabotare qualsiasi forma di dialogo nell’intera regione. Quale governo arabo, anche il più moderato, potrebbe sopportare una cosa del genere? Quale sopravviverebbe, parlando con il governo Netanyahu dopo aver in qualche misura avallato una misura simile contro i palestinesi?

Qualcuno dirà, credendoci o per farsi coraggio, che sono solo annunci, che qualcosa del genere non accadrà mai. Nel frattempo, stiamo uccidendo il futuro

di Fulvio Giuliani

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