Non basta evocare l’articolo 5
La nota licenziata giovedì scorso da palazzo Chigi e le soluzioni italiane per assicurare la difesa di Kyiv. Ma evocare l’articolo 5 non basta

Non basta evocare l’articolo 5
La nota licenziata giovedì scorso da palazzo Chigi e le soluzioni italiane per assicurare la difesa di Kyiv. Ma evocare l’articolo 5 non basta
Non basta evocare l’articolo 5
La nota licenziata giovedì scorso da palazzo Chigi e le soluzioni italiane per assicurare la difesa di Kyiv. Ma evocare l’articolo 5 non basta
Non basta dire “articolo 5”: per, come recita la nota licenziata giovedì scorso da palazzo Chigi, «assicurare robuste e credibili garanzie di sicurezza all’Ucraina» occorre avviare per tempo un lavoro politico-diplomatico di cui ancora non si vede traccia.
Facciamo un passo indietro. È ormai chiaro a tutti, anche a chi si è inizialmente spellato le mani nell’applauso, che il summit canadese tra Trump e Putin non ha prodotto risultati di sorta. I putiniani nostrani attribuiscono il fallimento all’indisponibilità del presidente ucraino Zelensky a cedere territori all’invasore. Verità solo apparente, dal momento che anche Zelensky sa che senza un coinvolgimento sul campo delle Forze armate occidentali la Russia può essere fermata ma non sconfitta, e che, dunque, un negoziato di pace dovrà concludersi con la dolorosa ma necessaria cessione di una quota del territorio ucraino oggi occupato dalle armate russe. Se Zelensky ha potuto inastare la bandiera, indiscutibilmente giusta, ma oggettivamente retorica, dell’integrità territoriale ucraina è stato perché Putin non ha concesso nulla sul fronte della sua indipendenza militare. È, infatti, questo il punto.
L’Europa di fronte alle reali intenzioni della Russia
La guerra scatenata da Putin tre anni fa non ha come obiettivo l’annessione di questa o quella provincia ucraina, ma la riduzione dell’intero Paese a fantoccio di Mosca, come già accaduto in Bielorussia e altrove. Un’Ucraina sovrana, anche se menomata, e in grado di difendersi da nuovi attacchi è una prospettiva inaccettabile per Vladimir Putin. Che infatti sul punto nulla ha concesso a Donald Trump. Per l’Ucraina, per l’Europa e più in generale per chi crede nella democrazia e nella legalità internazionale, si tratta, invece, di una questione irrinunciabile.
Questione che sarebbe garantita se l’Ucraina entrasse nella Nato, beneficiando di conseguenza dell’articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico, secondo il quale «un attacco armato» contro uno Stato membro «sarà considerato come un attacco diretto» contro l’intera Alleanza, che potrà di conseguenza «usare la propria forza armata per ristabilire e mantenere la sicurezza della regione nord-atlantica». Ma Trump ha escluso la possibilità che l’Ucraina aderisca alla Nato. Potrebbe, allora, aderire all’Unione europea, il cui Trattato all’articolo 42 stabilisce l’obbligo di assistere ogni Stato membro «vittima di un’aggressione armata sul suo territorio». Ma i governi filo putiniani di Ungheria e Slovacchia sono contrari all’ingresso dell’Ucraina nell’Ue e sarebbero contrari anche a difenderla militarmente nel caso di un nuovo attacco russo.
Non basta l’ipotesi del simil articolo 5
Per questo Giorgia Meloni ha lanciato l’ipotesi di un “simil articolo 5 della Nato” da sottoscrivere nel quadro della cosiddetta coalizione dei Volenterosi. L’ipotesi è figlia di quella che Giorgia Meloni, in ciò dimostrando una certa debolezza politica, considera una necessità: attribuire all’Italia un ruolo proattivo e al tempo stesso non lasciare a Matteo Salvini la bandiera cosiddetta pacifista. Dunque, nessun soldato italiano calpesterà il suolo ucraino a guerra in corso (imbarazzante il balletto sui guastatori da inviare «solo fuori dai confini ucraini»), ma sul “dopo” ci ritagliamo un ruolo da protagonisti. Quel ruolo, però, va sostanziato.
Come ha osservato il professor Sergio Fabbrini sul “Sole 24Ore” di domenica scorsa, perché l’ipotesi del “simil articolo 5” possa funzionare occorre trasformare la coalizione dei Volenterosi «in un attore istituzionalizzato, dotato di meccanismi decisionali collettivi, di una sua autonomia strategica e di risorse per perseguirla». Occorre, cioè, dare una struttura istituzionale alla Coalizione, di cui fanno parte 31 paesi, fissando regole e principi condivisi per evitare che il potere decisionale sia, di fatto, posto in capo agli unici due Stati dotati dell’arma nucleare: la Francia e il Regno Unito.
Non basta, dunque, evocare “l’articolo 5”. Occorre tessere con il filo della politica e l’arte della diplomazia un’intesa strategica e, semmai arriveremo a negoziare la pace con Putin, sarebbe opportuno che a svolgere questa delicata funzione fosse l’Italia.
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