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Nonni d’Israele

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La marcia dei parenti degli ostaggi israeliani non si limita solo a pretendere di avere notizie: i nonni si offrono in cambio dei loro nipoti

Nonni d’Israele

La marcia dei parenti degli ostaggi israeliani non si limita solo a pretendere di avere notizie: i nonni si offrono in cambio dei loro nipoti
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Nonni d’Israele

La marcia dei parenti degli ostaggi israeliani non si limita solo a pretendere di avere notizie: i nonni si offrono in cambio dei loro nipoti
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Mi ha molto colpito la manifestazione – la marcia, per meglio dire – dei parenti degli ostaggi israeliani in mano ai terroristi tagliagola di Hamas. La marcia dei nonni, in modo particolare, numerosissimi fra coloro che hanno deciso ancora una volta di non aspettare di avere notizie sui propri cari dalle Forze armate del proprio Paese impegnate nella Striscia di Gaza o dai sempre stringati comunicati del governo, ma di scendere di strada. Anzi, nelle campagne che portano verso i territori ora teatro dei sanguinosi scontri fra l’Idf e i terroristi. Una lunga teoria dolente di donne e uomini, spesso anziani e molto anziani: le nonne e i nonni che non si limitano a pretendere – come sacrosanto – di avere notizie e di poter coltivare ancora la speranza, ma si offrono come ostaggi, in cambio dei loro nipoti. Gesto di straordinaria umanità, che sottolinea per l’ennesima volta l’abisso fra vittime e carnefici di questa storia orrenda. Voluta, cercata come il peggiore dei pogrom da Hamas e sfociata nella reazione militare israeliana. Non solo prevedibile, ma programmata dai terroristi che hanno bisogno di quanto più sangue possibile del proprio popolo per portare avanti la loro propaganda di morte. Non è questa l’occasione di una nuova valutazione della strategia del governo Netanyahu per la guerra e soprattutto il dopoguerra – ne abbiamo abbondantemente scritto in queste drammatiche settimane sia qui che sull’edizione cartacea de La Ragione. Oggi, vogliamo sottolineare il gesto dei nonni, che sono nonni a qualsiasi latitudine, sotto qualsiasi bandiera, di qualsiasi credo. Sono nonni e in quanto tali farebbero qualsiasi cosa per i propri figli e nipoti. Sono scesi in strada, come nei giorni scorsi hanno manifestato davanti la residenza dello stesso Benjamin Nethanyahu pretendendo una risposta, un’azione in grado di tener viva la speranza. Sono voci che comprendono la necessità della reazione del governo e della stessa guerra contro Hamas, ma non chiedono che si combatta senza remore e limiti per vendetta. Non chiedono sangue per il sangue, sono nonni. Sono spesso voci di profondo dissenso nei confronti delle stesse politiche del governo, soprattutto quelle che hanno portato negli anni a illudersi di poter accantonare il tema-problema palestinese. Sono quelle manifestazioni, quelle prese di coscienza, quegli atti di coraggio che continuiamo vanamente ad aspettare anche fra i palestinesi e gli arabi più generale. Qualcuno che, come i nonni israeliani dell’altro giorno, abbia il coraggio e la capacità di amare e rispettare il proprio Paese e la propria gente, senza odiare gli altri. Senza doversi nutrire di un nemico. Isolate e flebili voci palestinesi si sentono, ma avremmo disperatamente bisogno di molte di più. Di Fulvio Giuliani

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