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Obama e la politica dell’odio

Obama merita tutte queste contumelie (e al contempo merita alcuni sperticati elogi acritici che non sono mai mancati)?

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Obama e la politica dell’odio

Obama merita tutte queste contumelie (e al contempo merita alcuni sperticati elogi acritici che non sono mai mancati)?

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Obama e la politica dell’odio

Obama merita tutte queste contumelie (e al contempo merita alcuni sperticati elogi acritici che non sono mai mancati)?

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Obama merita tutte queste contumelie (e al contempo merita alcuni sperticati elogi acritici che non sono mai mancati)?

Ieri ho dedicato qualche riga agli Obama. Intesi come coppia politica, in cui – come in un sistema di vasi comunicanti – più l’ex Presidente degli Stati Uniti inevitabilmente diventa l’uomo dell’ispirazione politica e del lavoro dietro le quinte, più la moglie acquista visibilità. Ne avevo scritto per una pura valutazione in ottica candidatura Harris, mentre tanti commenti si sono mostrati concentrati su attacchi spesso spietati nei confronti di Barack Obama.

L’ex capo della Casa Bianca merita tutte queste contumelie (e al contempo merita alcuni sperticati elogi acritici che non sono mai mancati)? La domanda è retorica e la risposta sin troppo ovvia, ma resta clamoroso quanto una politica fatta di progetti ambiziosi, di una visione della vita, del futuro, in definitiva del destino dell’umanità o almeno dei rapporti fra le nazioni improntata a un sano idealismo finisca per risultare totalmente estranea ai nostri tempi. Ingenua nella migliore delle ipotesi, più spesso e per tanti un mega imbroglio ai danni del “popolo“.

Non ci riteniamo degli ingenui o dei sempliciotti, ma non vogliamo rinunciare all’idea di una politica “alta“, perché dobbiamo far vedere di essere sempre un po’ più furbi del prossimo, rotti a ogni esperienza. Negativa, si intende.
Le clamorose, esagerate, speranze che accompagnarono l’avvento di quel giovane politico di Chicago erano pari solo all’inevitabile disillusione. Come è indiscutibile il giudizio negativo su determinati errori, di cui ancora paghiamo le conseguenze. Ma è come ridurre l’esperienza di John Fitzgerald Kennedy alla Casa Bianca alla Baia dei Porci…

Il punto è avere la capacità (e la voglia) di distinguere il ruolo di chi non si stanca mai di indicare il meglio possibile per sé e per gli altri da chi trova ragione della propria esistenza politica esclusivamente nella divisione ossessiva, nella spaccatura sempre e comunque, nella totale incapacità di riconoscere la legittimità dell’altro.

Non cogliere queste differenze, significa rassegnarsi all’etica dominante di questi tempi in cui sembra che fare la faccia cattiva, mostrarsi indifferente alle esigenze altrui sia una nota di merito. Questo supermachismo patetico e tragicomico, che trova il suo contraltare nelle follie woke.

Non a caso all’ultra sinistra woke statunitense Obama è sempre stato sulle scatole. “Ma come, proprio lui nero e primo nero nello Studio ovale – dove un tempo al massimo portavano il tè – non abbraccia gli estremismi revisionisti di chi vuole abbattere le statue o cancellare i generi?!”.

Una delle tante, profonde differenze tra chi pensa che per battere i Trump di questa terra sia necessario demonizzarli e odiarli – esattamente come loro odiano e demonizzano – e chi frappone alla loro visione oscurantista la politica delle idee e dei programmi. Capisco che per molti significhi rassegnarsi, ma in questo Barack Obama resta un faro e il suo benchmark difficilissimo da avvicinare. Kamala e moglie comprese

di Fulvio Giuliani

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