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Odio contro Israele, come è stato possibile

A quattro giorni dall’anniversario dell’eccidio del 7 ottobre, molto c’è ancora da fare e lavorare contro i diffusi sentimenti antisemiti, anche in Italia

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Odio contro Israele, come è stato possibile

A quattro giorni dall’anniversario dell’eccidio del 7 ottobre, molto c’è ancora da fare e lavorare contro i diffusi sentimenti antisemiti, anche in Italia

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Odio contro Israele, come è stato possibile

A quattro giorni dall’anniversario dell’eccidio del 7 ottobre, molto c’è ancora da fare e lavorare contro i diffusi sentimenti antisemiti, anche in Italia

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A quattro giorni dall’anniversario dell’eccidio del 7 ottobre, molto c’è ancora da fare e lavorare contro i diffusi sentimenti antisemiti, anche in Italia

L’Iran ha sparato ma non ha colpito. La teocrazia di Teheran ha ascoltato ancora una volta la sua ala più estremista raccogliendo, dal punto di vista militare e strategico, l’ennesimo fallimento e provocando la probabile reazione israeliana.

Le ultime tre settimane in Libano e paradossalmente lo stesso lancio dei 180 missili di martedì hanno segnato la prima, grande vittoria del governo di Benjamin Netanyahu dal 7 ottobre. Il silenzio-assenso di tutti i Paesi arabi della regione ai colpi inferti all’Iran ricorda quanto regimi incendiari – a parole – con Tel Aviv, in realtà non vedano l’ora di normalizzare i rapporti e di far fare il lavoro sporco a Israele.

Proprio alla luce di tutto questo, è più grande lo sconcerto davanti alla “sconfitta” israeliana nelle teste e nei cuori di ampie porzioni della pubblica opinione occidentale e italiana in modo specifico. Mancano quattro giorni all’anniversario dell’eccidio del 7 ottobre voluto da Hamas. Dal giorno che lasciò in stato di shock un intero Paese. Furono ore di dolore immane, di dubbi atroci e paure sconosciute. Un giorno che proprio per quanto sofferto avrebbe dovuto garantire a Israele e agli ebrei solidarietà e comprensione anche fra chi storicamente li guarda con sospetto.

Un anno dopo ci ritroviamo invece con diffusi sentimenti antisemiti, un incubo che sembra tornare dagli angoli più vergognosi e spaventosi della storia. Israele è forse al punto più basso di popolarità fra i giovani e non solo in Italia.

In vista del 7 ottobre, ci siamo ridotti a dover vietare manifestazioni per non assistere allo scempio dei cartelli vomitevoli apparsi la scorsa settimana a Milano. Si rispolverano parole d’ordine e immagini del più puro odio antisemita. Persone che, appena dietro un velo di ipocrisia, sostengono l’idea della Palestina “dalla Giordania al mare”, cioè la cancellazione dello Stato di Israele.

Come è stato possibile, un anno dopo? La risposta è: “Gaza” e Gaza richiama l’assenza di politica che ha accompagnato la mattanza della Striscia e un’operazione militarmente insensata. Gaza significa palestinesi e palestinesi significa affrontare, non negare, il problema dei problemi. Gaza e i palestinesi sono faccenda tremendamente più complessa dello stesso Iran. In Libano e nella risposta al lancio di missili di martedi Israele ha applicato una strategia. Con i palestinesi non si vedono strategie.

A Gaza, però, Israele deve saper far politica. Altrimenti continueremo a coltivare l’orrore antisemita nelle nostre strade e università e fra i nostri conoscenti. Il rifiuto di ascoltare, capire, provare almeno a studiare come si sia arrivati a questo. È inaccettabile. Non possiamo lasciare i ragazzi in balia dei cultori dell’odio: dobbiamo spiegare, accettare anche le contestazioni più difficili ma per far questo – con una minima probabilità di successo – abbiamo bisogno di una politica e di un’idea di futuro.

di Fulvio Giuliani

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