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Pace Ucraina

Pace in Ucraina, il ruolo centrale dell’Italia

L’Italia è uno dei principali contributori allo sforzo militare di pace nel mondo. Dunque, deve avere un ruolo centrale in qualunque iniziativa militare di pace, anche in Ucraina

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Pace in Ucraina, il ruolo centrale dell’Italia

L’Italia è uno dei principali contributori allo sforzo militare di pace nel mondo. Dunque, deve avere un ruolo centrale in qualunque iniziativa militare di pace, anche in Ucraina

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Pace in Ucraina, il ruolo centrale dell’Italia

L’Italia è uno dei principali contributori allo sforzo militare di pace nel mondo. Dunque, deve avere un ruolo centrale in qualunque iniziativa militare di pace, anche in Ucraina

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L’Italia è uno dei principali contributori allo sforzo militare di pace nel mondo. Dunque, deve avere un ruolo centrale in qualunque iniziativa militare di pace, anche in Ucraina

L’Italia deve avere un ruolo centrale in qualunque iniziativa militare di pace in Ucraina. Non ci sono margini di manovra su questo punto e per almeno due motivi: il primo schiettamente politico, il secondo di credibilità internazionale.

Il nostro Paese è oggi uno dei principali contributori allo sforzo militare di pace nel mondo. I nostri uomini e donne sono attivi in pressoché tutte le missioni Onu, Nato e Ue in giro per il globo. E lo sono dal 1982 in Libano, prima missione dal dopoguerra gestita dal governo Spadolini e con il grande e popolare protagonismo del Presidente Pertini. Un’operazione molto osteggiata politicamente. Ma che valse tanto al prestigio e alla crescita del peso dell’Italia.

Da allora è stata precisa volontà di Roma ritagliarsi un ruolo di garante della pace nelle aree più sensibili del pianeta. Una volontà bipartisan sopravvissuta al crollo della Prima Repubblica, alla stagione dell’alternanza, alle crisi economiche e al riaffacciarsi delle tensioni internazionali nell’ultimo decennio. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: i nostri militari sono i più apprezzati al mondo per le operazioni di peacekeeping. Ogni volta che c’è bisogno di mandare truppe, l’Italia è coinvolta. Spesso anche con ruoli di vertice (come in Libano e in Kosovo).

Domenica a Londra si discuteranno le prossime mosse dell’Europa in campo militare e strategico. Il focus primario sarà verosimilmente la difesa integrata (che includa pure la Gran Bretagna) ma è improbabile che non venga toccato il tema della possibile forza di interposizione in Ucraina. A garanzia di un futuro cessate il fuoco. L’Italia arriverà al tavolo, formalmente, con qualche dubbio. E questo non va assolutamente bene.

La presidente del Consiglio Meloni è su una strada stretta e le ultime dichiarazioni di alcuni ministri (Crosetto in testa) contro le ipotesi di dispiegamento sembrerebbero confermarlo. Da una parte non può abbracciare la linea dell’indipendenza europea – pratica e decisionale – dagli Stati Uniti: la speranza di fungere da ponte per Trump, sempre meno verosimile, è ancora viva. Dall’altra sa che l’Italia, per contare, deve stare in Europa. Il rischio maggiore è che la trazione difensiva si consolidi sul binario Parigi-Londra-Berlino-Varsavia, tagliando Roma fuori dalla partita. Se la vicinanza a Trump significa poi frenare su un contingente di pace italiano (che secondo canali bene informati sarebbe stato esplicitamente richiesto, considerata l’esperienza consolidata del nostro Paese), l’autogoal del governo sarebbe compiuto.

Intervenire è dunque l’unica opzione. Con tutti i rischi che questa si porta dietro. Non siamo ciechi: si tratterà di frapporsi tra due Stati in guerra, con eserciti armati in maniera massiccia e moderna. Non è il Libano, dove Unifil tenta di separare uno Stato e una milizia guerrigliera. E non è nemmeno il Kosovo, a cui la K-for garantisce l’integrità territoriale con una presenza militarmente più forte di quella che opprime (la Serbia). E non è nemmeno la Corea, dove una forza di interposizione non c’è ma i due contendenti, pur incattiviti, hanno tutto l’interesse a non aggredirsi.

I rischi per l’incolumità dei nostri militari ci saranno. È inevitabile, bisogna esserne consci e si dovrà anche essere franchi con la pubblica opinione. Così come occorre sapere che i nostri soldati, tornando dalle missioni, potrebbero essere cambiati. Vivere fianco a fianco con russi e ucraini, esposti alle rispettive propagande, avrà effetti sul loro modo di pensare. Possiamo immaginare che il nuovo terreno di scontro tra Kiev e Mosca sarà proprio la psiche dei peacekeepers, nel tentativo di attirarsi le simpatie delle opinioni pubbliche e dei governi. È un tema.

C’è oltretutto una propaganda che qui da noi ancora non miete troppe vittime: quella cinese. Pechino si è finora tenuta alla larga dalle missioni internazionali, contribuendo soltanto a una dozzina di esse e con organici ridotti (a oggi circa 3mila soldati: l’Italia, nel mondo, ne ha oltre 7.500). Eppure per l’Ucraina ha dato subito la sua disponibilità, pur con poca o nessuna esperienza. Aiuterà la Russia? Certamente. Ma l’obiettivo del Dragone è un altro: penetrare fisicamente in Europa. Anche da questo pericolo bisognerà difendere i nostri. Che, a loro volta, difenderanno tutti noi.

Di Umberto Cascone

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