app-menu Social mobile

Skip to main content
Scarica e leggi gratis su app
Palestina e Israele

Palestina e Israele, due popoli in ostaggio

Quello che sta accadendo dal 7 ottobre è raccontato da Israele e Palestina con due racconti diversi ma standard: capiamo quali
|

Palestina e Israele, due popoli in ostaggio

Quello che sta accadendo dal 7 ottobre è raccontato da Israele e Palestina con due racconti diversi ma standard: capiamo quali
|

Palestina e Israele, due popoli in ostaggio

Quello che sta accadendo dal 7 ottobre è raccontato da Israele e Palestina con due racconti diversi ma standard: capiamo quali
|
|
Quello che sta accadendo dal 7 ottobre è raccontato da Israele e Palestina con due racconti diversi ma standard: capiamo quali
Quando si discute di Israele, degli attacchi del 7 ottobre e della conseguente invasione di Gaza, ci troviamo – quasi automaticamente – di fronte a due racconti standard. Secondo il racconto israeliano, l’origine del dramma è il rifiuto da parte palestinese della soluzione dei due Stati, patrocinata dall’Onu fin dal 1947; un rifiuto protratto e iterato per almeno mezzo secolo, man mano che le varie offerte israeliane venivano bruciate l’una dopo l’altra dai più o meno legittimi rappresentanti del popolo palestinese. Secondo il racconto palestinese, l’origine del dramma è la nakba (la catastrofe) del 1948, ovvero l’espulsione violenta, per opera di forze israeliane, di 700mila palestinesi dai loro villaggi e dalle loro terre; una espulsione che, sotto forme diverse, si è ripetuta innumerevoli volte nei decenni successivi. Questi due racconti non sono falsi, o uno vero e l’altro falso. A modo loro, sono sostanzialmente veri entrambi, sia pure da angolature diverse. Il problema è che sono omissivi, gravemente omissivi. E lo sono sul medesimo punto e per la medesima ragione, e cioè perché rimuovono il ruolo realmente svolto dalle rispettive classi dirigenti. Sul versante palestinese, e più in generale nel mondo arabo, manca qualsiasi riflessione sia sulla catastrofica e strumentale gestione della questione palestinese da parte degli Stati arabi ‘amici’ (a partire da Giordania e Egitto), sia sulla qualità delle leadership che – lungo 75 anni – hanno condotto le guerre e le trattative con Israele. Promuovere o tollerare la via del terrorismo, convogliare la maggior parte degli aiuti internazionali in armamenti e usare sistematicamente i civili come scudi umani hanno inflitto al popolo palestinese sofferenze indicibili di cui nessun leader è mai stato chiamato a rispondere. In questo senso hanno perfettamente ragione quanti sostengono che il primo nemico del popolo palestinese sono i suoi capi e dirigenti, cui si deve l’impressionante sequenza di scelte autolesionistiche attuate dal 1948 a oggi. Ma sul versante israeliano le cose non sono andate molto meglio, soprattutto negli ultimi decenni. Quel che i difensori di Israele sistematicamente dimenticano è che la costante di (quasi) tutte le politiche che si sono avvicendate dal 1948 in poi è stata la progressiva annessione, con l’occupazione militare e con gli insediamenti dei coloni, di terre originariamente assegnate dalle Nazioni Unite ai palestinesi. Certo, ci sono anche stati dei momenti in cui i governi israeliani hanno fatto passi indietro – come la restituzione del Sinai all’Egitto o la cessione di porzioni della Cisgiordania o la rinuncia alla Striscia di Gaza – ma basta un’occhiata alla successione delle cartine che rappresentano i confini di Israele e la mappa degli insediamenti dei coloni per rendersi conto di due circostanze. Primo, la tendenza di fondo è al restringimento della porzione di Palestina controllata dai palestinesi, che già era inferiore al 50% nelle intenzioni dell’Onu e oggi è ridotta al 10% (e a circa il 5% se escludiamo l’area B della Cisgiordania, a controllo misto israelo-palestinese). Secondo, gli insediamenti israeliani in Cisgiordania sono così numerosi, diffusi e puntiformi da rendere praticamente inconcepibile la formazione di un vero Stato palestinese dotato di continuità territoriale, a meno di espellere centinaia di migliaia di coloni israeliani: la politica degli insediamenti, poco per volta, ha determinato una sorta di fatto compiuto irreversibile che ipoteca il futuro di entrambi i popoli. Da questo punto di vista non saprei dire se fa più ribrezzo il cinismo con cui Netanyahu rifiuta la soluzione dei due Stati che lui stesso ha reso impraticabile o l’ipocrisia di Biden, che finge che quella alternativa sia ancora sul tavolo. Possiamo sentirci più vicini al popolo palestinese o a quello israeliano, ma è difficile non prendere atto che, entrambi, sono anche ostaggi e vittime (quanto innocenti?) di classi dirigenti che non sono state all’altezza. di Luca Ricolfi

La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!

Leggi anche

Sadiq Khan eletto sindaco di Londra per la terza volta

04 Maggio 2024
Ha prevalso con il 43,7% dei voti, mentre la sua rivale conservatrice Susan Hall ha ottenuto il …

The Wall Street Journal, ultimatum di Israele ad Hamas

04 Maggio 2024
L’indiscrezione: “Intesa in una settimana o entriamo a Rafah”, questo l’ultimatum che Israele av…

Iran, le donne, i ragazzi e i ‘diversi’ dimenticati

02 Maggio 2024
È proprio impossibile trovare uno spazio anche piccolo-piccolo per ricordare lo stupro di massa …

All’Eurovision vietate le bandiere della Palestina

02 Maggio 2024
Le bandiere della Palestina non saranno ammesse all’Eurovision Song Contest che quest’anno si te…

LEGGI GRATIS La Ragione

GUARDA i nostri video

ASCOLTA i nostri podcast

REGISTRATI / ACCEDI