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Quello che non c’è nelle parole di Francesco

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Nell’invito agli ucraini di Papa Francesco a considerare la bandiera bianca pur di ottenere un negoziato non c’è soltanto una prospettiva di pace

Quello che non c’è nelle parole di Francesco

Nell’invito agli ucraini di Papa Francesco a considerare la bandiera bianca pur di ottenere un negoziato non c’è soltanto una prospettiva di pace

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Quello che non c’è nelle parole di Francesco

Nell’invito agli ucraini di Papa Francesco a considerare la bandiera bianca pur di ottenere un negoziato non c’è soltanto una prospettiva di pace

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Il Papa fa il Papa e non c’è da meravigliarsi se parla da Papa. Detto questo, se non ragioniamo e parliamo da fedeli, se il Papa dichiara qualcosa di oggettivamente enorme abbiamo il diritto-dovere di sottolinearlo.

Comprendiamo le migliori intenzioni, il grido di dolore, l’immane sofferenza provocata da due anni di guerra bestiale in un uomo come Bergoglio, ma nell’invito agli ucraini a considerare la resa, la bandiera bianca pur di ottenere un negoziato non c’è soltanto una prospettiva di pace. 

Al netto delle frettolose precisazioni del Vaticano, resta la spiacevole sensazione di via libera di fatto ai piani di un dittatore sanguinario, ai suoi disegni di potenza, in cui i diritti dei popoli, la libertà, la dignità della persona sono stracciati. Buttati via come fossero solo un fastidioso inciampo nell’ossessione di potere di un uomo accecato dall’odio per chiunque si frapponga fra sé e la sua personalissima idea di gloria.

Che Papa Francesco non sia riuscito ad accompagnare al suo ragionamento sull’invito a considerare la resa e la trattativa a ogni costo una parola sul barbaro assalto di due anni fa lascia sbigottiti. Addolorati, in tutta franchezza. Chiariamo: sappiamo benissimo che altre volte il Santo Padre ha usato parole nettissime contro Putin, ma andava fatto anche ieri, nel quadro di quel preciso ragionamento e di quelle esatte parole rivolte agli ucraini. 

Non siamo niente e nessuno per provare a interpretare il pensiero del Pontefice, oltre una critica che ci appare sacrosanta, ma se proprio dovessimo provare non riusciamo ad aggiungere nulla alla sensazione che il dolore provato sia ormai tale da far considerare qualsiasi via d’uscita se non preferibile, almeno comprensibile rispetto al protrarsi della guerra.

Mancano, però, troppi pezzi in un intervento del genere: non c’è alcuna considerazione per cosa significherebbe per l’Europa e il mondo premiare la violenza e l’omicidio deliberato dell’idea di democrazia e libertà per poterlo accettare. Un pensiero troppo simile a un Orsini qualsiasi per non restare sconcertati.

di Fulvio Giuliani

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