Parlare ai dittatori
 | Esteri
        
                Sostenere la missione diplomatica di Nancy Pelosi a Taiwan significa lanciare un messaggio potente ai dittatori in giro per il mondo.
        
        		
				
	
		
	
		
        
	
		
	
		
        
        
    
 
Parlare ai dittatori
Sostenere la missione diplomatica di Nancy Pelosi a Taiwan significa lanciare un messaggio potente ai dittatori in giro per il mondo.
        
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Parlare ai dittatori
Sostenere la missione diplomatica di Nancy Pelosi a Taiwan significa lanciare un messaggio potente ai dittatori in giro per il mondo.
        
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AUTORE: Fulvio Giuliani
«Una doverosa provocazione». Firmato “New York Times”. È la posizione del più importante quotidiano al mondo sulla missione nel Sud-Est asiatico della speaker della Camera dei Rappresentanti Usa Nancy Pelosi. Il ragionamento suona più o meno così e sarebbe un grave errore liquidarlo come sbrigativamente anti-cinese o banalmente patriottico: sostenere la necessità della missione diplomatica della Pelosi a Taiwan – ancor più dopo le minacce preventive cinesi – significa lanciare un messaggio inequivocabile ai dittatori in giro per il mondo, ma anche invitare a smetterla con l’autolesionismo all’occidentale.
Quella lettura di comodo che vuole le democrazie dell’Ovest – il nostro mondo – irrimediabilmente in declino, se rapportate alle “energiche, veloci ed efficienti democrature”. Leggasi “dittature”, senza ridicoli equilibrismi dialettici e linguistici. È la convinzione che ha portato Vladimir Putin al suo folle azzardo in Ucraina e i cinesi a fare la voce grossa con gli americani su Taiwan, quando per decenni delegazioni del Congresso hanno visitato l’isola senza che Pechino avesse da ridire.
Sappiamo benissimo che il “New York Times” è la voce per eccellenza dell’America liberal, un pezzo di Paese spesso senza corrispondenza neppure con il Partito democratico. Uno stato dell’anima americana, prim’ancora che un riflesso politico, eppure un universo che riflette alcune fra le menti più brillanti e acute degli Stati Uniti. Una lettura che non si può archiviare distrattamente.
Che la Cina di oggi sia altra cosa dal Paese afflitto da uno storico complesso di inferiorità (siamo sicuri che certe spacconate non ne siano un involontario riflesso?) è lapalissiano, come solare la sfida che le dittature hanno lanciato ai valori sociali ed economici del nostro mondo. Se è per questo, Xi e Putin lo hanno ripetutamente dichiarato. Solo che la sconfitta non è scritta da nessuna parte, come insegnerebbe una storia piena di scommesse di dittatori uguali a quelle di oggi.
Anche le minacce militari cinesi vanno ricalibrate con la realtà: pur con tutta la propaganda di questo mondo, Pechino è lontanissima dal poter reggere la sfida nell’Oceano Pacifico con la Marina Usa. Solo una stampa distratta o strumentalmente interessata alla narrazione dell’Occidente sconfitto prossimo venturo può confondere frettolosi investimenti e vari di portaerei e sottomarini con una reale minaccia bellica alla supremazia americana.
Certo, se l’Occidente riprenderà a fare la voce grossa sulle conseguenze del varcare “linee rosse”, dovrà ricordarselo al momento della verità. Le armi chimiche in Siria insegnano (o dovrebbero farlo) a non lasciare Nancy Pelosi ‘sola’ in Asia.
Di Fulvio Giuliani
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