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Perché Putin ha voluto la guerra

Comprendere perché Putin ha voluto la guerra non serve solo a vincere, ma anche a capire la forma della pace.
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Perché Putin ha voluto la guerra

Comprendere perché Putin ha voluto la guerra non serve solo a vincere, ma anche a capire la forma della pace.
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Perché Putin ha voluto la guerra

Comprendere perché Putin ha voluto la guerra non serve solo a vincere, ma anche a capire la forma della pace.
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Comprendere perché Putin ha voluto la guerra non serve solo a vincere, ma anche a capire la forma della pace.

Comprendere l’avversario serve non solo a vincere ma a capire la forma della pace, anche perché – se aspettate che ve la spieghino i pacifisti e i putinistila pace allora equivale alla resa.

La Russia pre-sanzioni aveva un livello salariale mensile oscillante tra i 300 fino ai 1.000 dollari nella Mosca metropolitana. Le aspettative di vita non sono migliorate granché dopo la caduta del Muro, l’alcolismo è endemico (ma è anche uno strumento di controllo sociale) e la conclamata crisi demografica nella Russia europea (fanno meno figli di noi) è solo parzialmente compensata dalla crescita nella Russia asiatica (con i problemi di spostamento dell’asse politico interno). Il Pil soffre le vecchie sanzioni, la spesa militare incide sul bilancio dal 5 al 7% – compresa la manutenzione dell’arma nucleare (sovvenzionata nel passato dagli Stati Uniti) – e per finanziare l’impresa siriana si intervenne sulle pensioni (segnando il minimo storico del consenso a Vladimir Putin, il quale come primo provvedimento per la guerra ucraina ha fissato il loro aumento). In generale cresce la distanza tra la Russia e tutti gli altri Paesi, con il rischio che si sgretoli il ruolo internazionale dell’Aquila bicefala.

Queste le carte in mano a Putin nel 2021: un Paese in pessime condizioni al di là della ricchezza dei suoi pirati misurata a metri di yacht. Poi l’aspetto psicologico: il Cremlino ha un’autentica fobia per l’Occidente. A noi sembra folle, ma la storia pesa: Napoleone a Mosca, la guerra di Crimea di Cavour, la pesante pace di Brest-Litovsk, l’Operazione Barbarossa con i nomi di città ucraine tornati alla mente in questi due mesi e narrati dalla vera forza della Russia, il suo formidabile patriottismo. E l’Unione europea, considerata debole ma il cui liberalismo e la capacità di offrire chance ai suoi cittadini rappresentano un nemico sistemico per l’establishment russo. Infine la Nato, con la quale lo spazio – tradizionale arma di difesa russa – si è notevolmente ridotto e che con l’adesione dell’Ucraina alla Ue si sarebbe posizionata a poche centinaia di chilometri da Mosca.

Il conflitto fra i due Stati risale alla nascita della Csi, dalla quale Kiev uscì quasi senza entrare: una decisione che fu vissuta come un’amputazione della Rodina (ovvero la Patria russa) da parte di un Paese per il quale si nutre un sentimento razzista. In questi quindici anni Vladimir Putin ha rimesso in moto il ruolo della Russia con la propaganda dell’uomo forte e risoluto in un Occidente decadente e malato di inanità democratica, con la riapertura di una base in Siria (la prima fuori dalla madrepatria dopo la caduta del Muro), con l’uso dei mercenari nazisti (vedere i tatuaggi) di Wagner in Africa partendo dalla Libia e con il petrolio, il gas, i fertilizzanti, il grano dal quale dipendono molti Paesi in via di sviluppo.

Putin a dicembre 2021 inviò alla Nato un documento che di fatto chiedeva il disarmo anche nucleare dell’Europa, il ritiro dell’Alleanza Atlantica dal Baltico ai Balcani, la cancellazione dello scudo antimissile. Voleva una risposta scritta, se ricordate, ma non gli interessava perché con 200mila uomini a disposizione ha lanciato l’attacco nella convinzione che la guerra potesse essere breve (un errore commesso tante altre volte nella storia). Il traguardo tattico era ridisegnare l’Ucraina in qualsiasi forma geopolitica e acquisire non solo risorse minerarie ma il grano, fondamentale quanto il petrolio: con il grano ucraino – che oggi Putin sta requisendo come bottino di guerra – avrebbe portato la Russia al 30% del mercato mondiale risucchiando nella sua area geopolitica l’Egitto, la Turchia, l’India e il Pakistan, per dire dei principali: noi il gas, loro il pane.

L’obbiettivo strategico è altrettanto chiaro: l’indebolimento dell’Occidente attraverso una nuova formula di sicurezza che rispetti la logica imperialista delle sfere di influenza, con lo spostamento dell’asse geopolitico a favore della Russia e della Cina. Per Putin il tempo giocava a sfavore, il degrado russo avrebbe portato la Cina a essere l’unico antagonista degli odiati americani e la Russia si sarebbe ridotta a ciò che a Washington da tempo si crede (anche ora): una media potenza regionale fornitrice di energia. I sogni dell’Aquila bicefala appassivano nell’esangue futuro della Rodina a vantaggio degli altri.

Per questo ha tirato i dadi nella partita della vita ma gli è andata malissimo e la pace – qualsiasi pace – suona ora come la sconfitta finale: la vita oltre Trieste vale meno di un soldo, il sangue pare essere ancora il cemento del destino.

di Flavio Pasotti

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