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Perché Trump non è un Nixon alla rovescia 

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Dimenticare Nixon. Non c’azzecca. Per comprendere la politica dell’America di oggi bisogna comprendere Trump e le sue mosse.

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Perché Trump non è un Nixon alla rovescia 

Dimenticare Nixon. Non c’azzecca. Per comprendere la politica dell’America di oggi bisogna comprendere Trump e le sue mosse.

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Perché Trump non è un Nixon alla rovescia 

Dimenticare Nixon. Non c’azzecca. Per comprendere la politica dell’America di oggi bisogna comprendere Trump e le sue mosse.

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In politica nulla è per sempre. Neppure la dottrina Kissinger (dal cognome del suo ideatore, il fu segretario di Stato americano Henry Kissinger), ovvero il postulato del tenere separate, nell’interesse degli Stati Uniti, la Cina e la Russia. Per questa ragione hanno stufato i continui e recenti paragoni di queste settimane, nell’era americana di Donald Trump, su un possibile ritorno nelle scelte della Casa Bianca di un effetto Nixon alla rovescia. Detta così sembrerebbe complicata, ma la questione è semplice: non sono pochi a ritenere che le aperture diplomatiche e il dialogo di Trump con il presidente russo Vladimir Putin mirino a staccare, nel medio periodo, gli interessi di Mosca da quelli della Cina di Xi Jinping.

In questo senso si parla appunto di effetto Richard Nixon alla rovescia, visto che all’inizio degli anni Settanta il presidente degli Usa cercò con la “diplomazia del ping pong” l’effetto esattamente opposto: staccare la Cina di allora da una convergenza di interessi con l’Unione Sovietica. Allora funzionò, ma stiamo parlando di oltre mezzo secolo fa.

Nel 2025 della Trump’s politics, che sta cambiando i rapporti internazionali (a cominciare da quelli degli Usa con gli alleati occidentali), staccare la Russia dalla Cina più che un vasto programma appare un’utopia. Le ragioni sono molteplici e anche piuttosto evidenti. Prima ragione: nei tre anni di guerra contro l’Ucraina la dipendenza economica russa dalla Cina è andata crescendo e, sul breve e medio periodo, appare difficilmente reversibile anche se gli Usa decidessero (come pare dalla posizione di Trump) di riprendere i rapporti commerciali con Mosca. Seconda ragione: a Pechino qualche dubbio sulle reali intenzioni americane dietro la pacificazione con Putin ce l’hanno e, in caso di segnali troppo amicali fra Washington e Mosca, son già pronti a mettersi di traverso.

Terza ragione: gli interessi geopolitici e geografici di Cina e Russia non sono in contrasto bensì complementari. Xi Jinping guarda a Oriente e all’area dell’Indo-Pacifico, a cominciare dall’isola di Taiwan (ieri Pechino ha annunciato esercitazioni a fuoco vivo nell’area al largo della sua costa meridionale) che considera parte integrante del territorio cinese, lamentandosi al tempo stesso per la continua assistenza di aiuti militari americani a Taipei. Anziché a Oriente, gli interessi geopolitici di Putin guardano invece a Occidente e a Sud della Russia. Un aspetto, questo, di cui il presidente americano Donald Trump dovrebbe tenere conto nei suoi rapporti con l’Unione Europea, visto che la migliore garanzia per gli Usa di contenere le autocrazie nel mondo è appunto quella d’un saldo asse occidentale, che può avere le sue diverse sfumature e rimodulazioni restando però una vera alleanza.

La quarta ragione dell’impossibilità di un effetto Nixon al contrario nei rapporti fra gli Stati Uniti e la Russia riguarda l’essere i primi una democrazia. Lo zar Putin sa bene che Trump non resterà per sempre alla Casa Bianca perché in America ogni quattro anni si vota per il presidente e fra appena due anni ci saranno le elezioni di medio termine che potrebbero cambiare i rapporti di maggioranza al Congresso (oggi a vantaggio dei repubblicani).

Dimenticare Nixon, dunque. Non c’azzecca. Per comprendere la politica dell’America di oggi bisogna comprendere Trump e le sue mosse. O perlomeno cercare di farlo. A Parigi il presidente francese Emmanuel Macron lo ha capito e ci sta provando.

di Massimiliano Lenzi

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