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Continua la pioggia di missili sull’Ucraina

Nella notte una pioggia di missili s’è abbattuta sull’Ucraina. Un ragazzo di 11 anni è stato estratto dalle macerie dopo esservi rimasto sepolto per sei ore: in ospedale il suo cuore ha smesso di battere.
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Continua la pioggia di missili sull’Ucraina

Nella notte una pioggia di missili s’è abbattuta sull’Ucraina. Un ragazzo di 11 anni è stato estratto dalle macerie dopo esservi rimasto sepolto per sei ore: in ospedale il suo cuore ha smesso di battere.
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Continua la pioggia di missili sull’Ucraina

Nella notte una pioggia di missili s’è abbattuta sull’Ucraina. Un ragazzo di 11 anni è stato estratto dalle macerie dopo esservi rimasto sepolto per sei ore: in ospedale il suo cuore ha smesso di battere.
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Nella notte una pioggia di missili s’è abbattuta sull’Ucraina. Un ragazzo di 11 anni è stato estratto dalle macerie dopo esservi rimasto sepolto per sei ore: in ospedale il suo cuore ha smesso di battere.

Kolinkivtsi – Petro ha nove fratelli, due dei quali vivono a Kherson. Anche suo figlio è lì, impegnato sul campo nella controffensiva per liberare dall’occupazione russa la città in cui vivono gli zii. Mentre stringo tra le mani una tazza calda con il latte che ha appena munto, Petro mi racconta di come stiano affrontando in famiglia questo delicato momento. Come molti altri soldati, il figlio si è unito all’esercito portando con sé anche l’unica auto che avevano: lui e la moglie hanno dovuto arrangiarsi senza perché con i loro risparmi hanno aiutato il ragazzo a procurarsi nei primi giorni di guerra un giubbetto antiproiettile (che all’inizio non era semplice avere) e un fucile migliore, che per portata e precisione consentisse al figlio di non esporsi troppo al tiro nemico rispetto a quello fornito.

Il racconto di Petro viene interrotto da un fischio fortissimo. I vetri vibrano, tutti i cani abbaiano. In un attimo alziamo lo sguardo al cielo e vediamo una sottile scia bianca. Qualche secondo dopo giunge alle nostre orecchie un colpo molto forte. Sono quasi le 17.30 di un pomeriggio qualsiasi, che poteva essere l’ultimo. Un missile è appena passato sopra le nostre teste. Presto iniziano ad arrivare messaggi e chiamate da amici e parenti nelle vicinanze. Averlo sentito e visto quasi allo stesso tempo fa pensare a un missile subsonico. Più tardi apprenderemo dalla tv che si trattava in effetti di un missile cruise Kalibr, lanciato dal Mar Nero in direzione di Ternopil. Non era l’unico: quattro su quattro sono stati distrutti in volo dalla contraerea ucraina.

Quella frazione di secondo s’è ripetuta nella mia testa come un mantra sino a notte. Sta lì, in quell’attimo, la risposta al vociare insistente e anche un bel po’ ipocrita di chi ha la fortuna immensa di non vivere istanti di ordinaria follia come questo, eppure critica l’invio di armi al Paese aggredito. Con ogni probabilità, la contraerea che ha abbattuto quel poker mortale di razzi era occidentale. Senza quel supporto questa sera avremmo pianto l’ennesima mattanza di civili innocenti. Quel sibilo acuto seguito dal colpo finale schiude in un attimo le porte della percezione descritte da Huxley in “Paradiso e Inferno”, senza bisogno della mescalina: in Occidente dobbiamo muoverci. Possiamo e dobbiamo fare di più perché – se cade il baluardo ucraino – la fortuna di “pagarla in bolletta” potrebbe non durare a lungo neanche per noi. Gli Iskander viaggiano a velocità anche dieci volte superiori rispetto ai Kalibr. Se una contraerea più che all’avanguardia non li ferma, per centinaia di innocenti ogni attimo può essere l’ultimo. Una fine neanche preannunciata da quel fischio mortale.

Nella notte una pioggia di missili s’è abbattuta su Mykolaiv. Un ragazzo di 11 anni è stato estratto dalle macerie dopo esservi rimasto sepolto per sei ore: in ospedale il suo cuore ha smesso di battere. Come i blitzV2 diretti dalla Germania nazista contro le città britanniche nella Seconda guerra mondiale, questi attacchi conseguono risultati tattici molto scarsi ma aumentano la già enorme rabbia e determinazione di un popolo che nell’unità ha trovato la sua forza.

di Giorgio Provinciali 

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