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Il processo Trump dal visore italiano

Domani Trump si presenterà ad Atlanta per la prima volta in tribunale per i suoi presunti tentativi di ribaltare le elezioni presidenziali in Georgia
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Il processo Trump dal visore italiano

Domani Trump si presenterà ad Atlanta per la prima volta in tribunale per i suoi presunti tentativi di ribaltare le elezioni presidenziali in Georgia
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Domani Trump si presenterà ad Atlanta per la prima volta in tribunale per i suoi presunti tentativi di ribaltare le elezioni presidenziali in Georgia
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Domani Trump si presenterà ad Atlanta per la prima volta in tribunale per i suoi presunti tentativi di ribaltare le elezioni presidenziali in Georgia
Domani Donald Trump si presenterà ad Atlanta per la prima volta in tribunale per il processo per i suoi presunti tentativi di ribaltare le elezioni presidenziali del 2020 in Georgia. «Giovedì andrò ad Atlanta per essere ARRESTATO da un procuratore di ESTREMA SINISTRA» (il maiuscolo è dello stesso ex presidente) ha scritto The Donald sul suo social, Truth. Già così è tanta roba. Diventa tantissima se analizziamo la parabola trumpiana con il visore italiano. Ci si squadernerebbe davanti, infatti, un tragico Metaverso con in campo un Avatar che ben conosciamo: l’uso politico della giustizia che ha compromesso l’equilibrio dei poteri in un sistema democratico e che negli Usa minaccia addirittura di scardinarlo. Per capire di cosa parliamo servono un’ascissa e un’ordinata che disegnino traiettorie politiche. Da una parte, il fatto che nonostante le imputazioni, anche gravissime, la popolarità di Trump non solo non risulta scalfita ma si è ingrossata. Nel campo dei Repubblicani Trump è talmente in vantaggio per la nomination che ha deciso di disertare i dibattiti preelettorali con i suoi miniaturizzati sfidanti. Dall’altra, il fatto che le incriminazioni sono considerate dall’opinione pubblica americana non obiettive e politicamente orientate, soprattutto per ciò che concerne la tempistica: i procuratori si sono mossi in modo da arrivare ad un possibile giudizio a ridosso del 4 novembre 2024, giorno in cui si apriranno le urne presidenziali. Un sondaggio commissionato dall’“Associated Press” rivela che il 57% dei repubblicani considera Biden un presidente non legittimamente eletto. Tanta roba. E come dicevamo, a farla diventare tantissima – procurando un brivido nella schiena  – ci ha pensato Jack Goldsmith, docente di diritto ad Harvard che ha lavorato per l’amministrazione di Bush ed è un repubblicano anti-trumpiano. Sul “New York Times” dell’8 agosto, in Italia ripreso da Federico Rampini, ha scritto un editoriale nel quale sostiene che «il processo contro Trump potrebbe avere conseguenze terribili». E questo perché se al termine delle indagini non si arriverà ad una condanna «sarà un disastro storico» in quanto «le azioni giudiziarie contro Trump, per quanto possano essere giustificate, rischiano di diventare una scelta tragica che aggraverà i danni già prodotti dalle trasgressioni di Trump». Chi ha l’impressione di rivedere un film già visto con Silvio Berlusconi, alzi la mano. Il punto è che nelle democrazie mature, in Usa come in Francia e magari presto anche da noi, la società si è spaccata in due e chi perde non riconosce la legittimità della vittoria dell’altro. Così la leva giudiziaria diventa l’ultima e definitiva sconfitta della politica. di Carlo Fusi

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