
Propaganda e strategia
Propaganda e strategia
Propaganda e strategia
Che una foto sia ‘virale’ non è di per sé un giudizio di merito. Può semplicemente fissare la realtà, cristallizzare un momento, suscitare emozioni profondamente positive o negative. Di sicuro non può lasciare indifferenti. Come la fotografia dei soldati israeliani schierati nel ‘Parlamento’ di Gaza City. I militari della leggendaria brigata di fanteria “Golani” – una delle unità più decorate dell’esercito israeliano – mostrano orgogliosi tre bandiere con la stella di David fra i banchi della presidenza di quel consesso fantoccio, in cui si predicava la distruzione dello Stato di Israele un giorno sì e l’altro pure.
All’indomani del pogrom del 7 ottobre, dello shock collettivo subìto da un’intera nazione e dagli ebrei di tutto il mondo quella fotografia è ampiamente comprensibile. L’occupare, seppur simbolicamente, il sedicente ‘Parlamento’ di Gaza un mese dopo quella giornata tragica e infame ridà sicurezza nella capacità dello Stato ebraico di garantire i propri cittadini, riafferma l’immutata forza dell’esercito di gran lunga più attrezzato, equipaggiato e addestrato dell’intera regione mediorientale. È anche propaganda, come ovvio, parte di quella narrazione un po’ sfilacciata del premier Benjamin Netanyahu che ripete come in un mantra autosalvifico che si andrà avanti «fino alla vittoria». Proprio a questo punto quella foto sbiadisce di colpo: qual è la vittoria in questa guerra?
Se parliamo dal punto di vista strettamente militare, la eradicazione di Hamas e la sua distruzione fisica e materiale. Su questo non ci sono dubbi possibili. Solo che Hamas non è uno Stato, non ha un esercito regolare e neppure luoghi simbolo istituzionali da distruggere od occupare. Tanto è vero che – per esplicita ammissione degli stessi vertici militari di Tel Aviv – il luogo simbolo a livello mondiale del tallone di Hamas su Gaza è ormai il disastrato ospedale di Al Shifa, sotto e all’interno del quale i terroristi avrebbero nascosto chiunque e di tutto, senza farsi il minimo scrupolo di usare malati e rifugiati come scudi umani. Non è certo un simbolo quell’aula dimessa di un ‘Parlamento’ senza alcuna autorità e di cui nessuno al mondo aveva sentito parlare sino allo scatto della foto con i militari israeliani.
La verità è che una guerra asimmetrica non si vince soltanto sul campo e non si vince proprio se non si ha una strategia politica a medio e lungo termine. Che Netanyahu manchi clamorosamente da questo punto di vista non lo diciamo noi, anche se l’abbiamo più volte scritto: lo certifica il suo stesso ministro degli Esteri Cohen, quando parla di «due-tre settimane di agibilità internazionale». Cohen ricorda brutalmente che le operazioni militari nella Striscia di Gaza potranno continuare come adesso al massimo per altri 21 giorni, poi la Casa Bianca – tanto per cominciare – chiederà lo stop. In questo quadro confuso, quella foto nel ‘Parlamento’ di Gaza non è l’assalto al Reichstag (peraltro farlocca, come ben sappiamo, perché scattata dai sovietici dopo la fine dei combattimenti) e rischia di essere soltanto l’ennesima arma fra le mani della propaganda terrorista e anche di tutti i volenterosi pacifisti unilaterali. Di quelli che non vedono proprio l’ora di avere le ‘prove’ dell’imperialismo israeliano, della sua volontà colonizzatrice o peggio nei confronti dei palestinesi e degli arabi in generale.
Ben diversa, invece, la fotografia diffusa ieri (dopo e forse non casualmente l’altra) con i soldati davanti alla sede della ‘polizia’ di Hamas sempre a Gaza City. Ecco, quello è un organismo da cancellare, un simbolo dell’oppressione terroristica sulla popolazione civile. Nella speranza – che è anche un obbligo strategico – di dare alla Striscia un’amministrazione civile araba libera dalla cultura della morte e del terrore.
di Fulvio GiulianiLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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