AUTORE: Mario Bonito
«Abbiamo trovato un accordo per riprendere il negoziato entro la fine di novembre». Ad annunciarlo è il viceministro degli Esteri iraniano, Ali Bagheri Kani, dopo un incontro a Bruxelles con il segretario generale del servizio di azione estera dell’Unione europea, Enrique Mora. Buone notizie da Vienna, dunque, dove i colloqui erano fermi da giugno. Formalmente i negoziati erano stati interrotti per permettere l’insediamento del nuovo governo iraniano. Il presidente ultraconservatore Ebrahim Raisi, eletto lo scorso 18 giugno, ha però fatto subito capire che sarebbe stato meno moderato nei confronti dell’Occidente rispetto al suo predecessore Hassan Rouhani.
Sbloccare le trattive vuol dire provare a ricostruire un rapporto di reciproca fiducia. Con il JCPoA, l’intesa sul nucleare siglata nel 2015 fra Iran, membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu (Stati Uniti, Russia, Francia, Cina e Regno Unito) e Unione europea, Teheran si impegnava a tagliare le riserve di uranio a basso arricchimento, eliminare quelle a medio arricchimento e ridurre di due terzi le centrifughe a gas; in cambio gli altri Paesi sospendevano le sanzioni economiche e finanziarie in vigore nei confronti della Repubblica islamica. Nel 2018, però, l’ex presidente Donald Trump svuotò di efficacia l’accordo, annunciando l’uscita unilaterale degli Stati Uniti e il rinnovo delle misure restrittive contro l’Iran. Da allora i rapporti fra le due superpotenze si sono deteriorati anche per via delle uccisioni nel 2020 del generale iraniano Qasem Soleimani da parte degli Usa e del fisico nucleare Mohsen Fakhrizadeh Mahabadi da parte di Israele.
Dopo lo stallo, dunque, Teheran apre uno spiraglio per la ripresa dei negoziati e, indirettamente, del dialogo con Washington. Sul fronte interno appare una scelta obbligata per Raisi: non ci sarà ripresa economica, nonostante la propaganda governativa, senza la rimozione delle sanzioni statunitensi. Negli Stati Uniti, invece, il solo annuncio di una possibile ripresa dei negoziati fa scendere dell’1,2% il prezzo del petrolio (Wti), finito nei giorni scorsi ai massimi dal 2014.
Nonostante l’ottimismo, è ancora molto presto per cantare vittoria. La data dell’incontro deve ancora essere formalizzata dai partecipanti e questa volta Washington dovrà condividere il posto a capotavola con Mosca e Pechino. Raisi ha più volte sostenuto di voler migliorare le relazioni con Russia e Cina ed è probabile che il suo governo adotti a Vienna un approccio più esigente. Tra le richieste, piuttosto indigeste a Washington, l’eliminazione di tutte le sanzioni e l’irreversibilità dell’accordo. La strada verso un suo ripristino appare dunque tutt’altro che scontata, ma da percorrere necessariamente anche in vista della riunione in programma tra il 22 e il 26 novembre del Consiglio dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, l’organo ufficiale delle Nazioni Unite in materia di energia nucleare.
di Mario Bonito
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