Purgatorio
Tra Francia e Italia o Parigi e Berlino non pesano soltanto le relazioni bilaterali tra i Paesi, ma anche la politica europea e le sue riforme possibili
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Tra Francia e Italia o Parigi e Berlino non pesano soltanto le relazioni bilaterali tra i Paesi, ma anche la politica europea e le sue riforme possibili
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Tra Francia e Italia o Parigi e Berlino non pesano soltanto le relazioni bilaterali tra i Paesi, ma anche la politica europea e le sue riforme possibili
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Tra Francia e Italia o Parigi e Berlino non pesano soltanto le relazioni bilaterali tra i Paesi, ma anche la politica europea e le sue riforme possibili
La politica è fatta – da sempre – di sostanza e di retorica. Riguardo all’incontro di ieri a Roma fra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, separare la sostanza dalla retorica è esercizio necessario prima ancora che giornalistico.
Necessario, perché nei rapporti fra Italia e Germania, così come in quelli fra Italia e Francia o fra Parigi e Berlino, si misurano non soltanto delle relazioni bilaterali ma la politica europea e le sue riforme possibili. Condivise. La sostanza ci dice che oggi l’Unione europea è una prospettiva irrinunciabile. Per Roma, per Parigi e per Berlino. Gli scettici – un’arte, lo scetticismo, in Italia assai diffusa – hanno davanti a sé la didascalia della Gran Bretagna (nazione che alla Ue era assai meno legata della nostra, al punto di conservare una propria moneta senza entrare nell’euro) e della Brexit, che gli rimanda indietro quanto non funzioni il piano b. Dettaglio? No. Perché preso atto che un piano b non esiste, si comincia a fare i conti con le necessità della realtà. Vediamole allora, tenendo presente che esse erano e sono l’agenda non soltanto dei rapporti fra Italia e Germania ma degli equilibri dell’Ue. I principali argomenti del vertice Meloni-Scholz e dei rapporti in Ue fra i 27 Stati sono oggi quattro: la riforma del patto di stabilità; gli aiuti di Stato a imprese nazionali considerate strategiche; l’introduzione in Ue del voto a maggioranza al posto di quello all’unanimità; la gestione della questione immigrazione. Ebbene, qui – cosa ovvia – gli interessi degli Stati possono divergere ma è sostanza (e non retorica) che sulle diversità dovrà essere trovata una sintesi, perché fuori dall’Ue sarebbe peggio.
Una buona base di partenza è limare le rispettive diffidenze. Tasse. I tedeschi non si fidano del fisco italiano. Gli italiani non hanno fiducia nel rigore tedesco, perché temono vada a loro svantaggio. Al tema del fisco si lega anche la questione della solidarietà. Per poter sostenere i cittadini in difficoltà – sostiene la Germania – anche in tempi di crisi la stabilità fiscale è un requisito.
Migranti. L’Italia, Paese di primo approdo, vuole evitare di diventare una gigantesca Lampedusa. I tedeschi temono l’immigrazione secondaria, ovvero che i migranti arrivino sì in Italia ma poi se ne vadano a spasso in Germania, alla prima occasione. C’è poi l’argomento della riforma del voto all’unanimità – che i Paesi dell’Europa dell’Est non vogliono cambiare (non soltanto loro) – ma che eviterebbe, se debitamente ponderato, le pastoie di un eterno tira e molla in decisioni fondamentali. Complicato mettersi d’accordo? No, trattasi di esercizio del far politica. Chi avesse ancora titubanze dia uno sguardo alla reazione europea (compatta, da Lisbona a Varsavia) davanti all’aggressione russa all’Ucraina. Ha funzionato. E su questo Meloni e Scholz son d’accordo. Trattasi di sostanza, visto che attiene alla libertà. Ai fondamentali della democrazia.
Se c’è l’accordo su questo, come sembra esserci un’intesa riguardo alle politiche Ue verso l’Africa (è di ieri l’annuncio che domenica Giorgia Meloni tornerà in Tunisia, dopo la sua visita dei giorni scorsi, con la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen e con il primo ministro olandese Mark Rutte; un viaggio definito dalla stessa Meloni «propedeutico a chiedere l’accordo con l’Fmi: non voglio lanciarmi ma confido si possa arrivare a una soluzione di questa problematica»), arriverà anche sull’immigrazione, sul patto di stabilità e sul voto a maggioranza. Non per chissà quale forzatura politica di uno Stato Ue verso un altro ma per la semplice ragione che fuori dall’Unione europea – nel 2023 – non c’è il paradiso ma semmai il rischio di un inferno. Certo, trattasi di un paradiso nel quale bisognerà negoziare un po’ di purgatorio. Ma – sempre fuori dalla retorica e badando alla sostanza cui accennavamo – è questo il mestiere dei governi e della politica.
Il resto è populismo.
Di Massimiliano Lenzi
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