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Pussy Riot

Pussy Riot all’attacco

Il nuovo video no war delle Pussy Riot è già diventato virale in Russia malgrado il rigido controllo censorio
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Pussy Riot all’attacco

Il nuovo video no war delle Pussy Riot è già diventato virale in Russia malgrado il rigido controllo censorio
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Pussy Riot all’attacco

Il nuovo video no war delle Pussy Riot è già diventato virale in Russia malgrado il rigido controllo censorio
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Il nuovo video no war delle Pussy Riot è già diventato virale in Russia malgrado il rigido controllo censorio

Mosca – Un bambino in una casa di campagna gioca da solo con dei soldatini e si trova le mani insanguinate. Delle donne si aggirano per una campagna russa spostando delle bare vicino a un lago. Si apre così “Il lago dei cigni”, il nuovo video no war delle Pussy Riot, già virale in Russia malgrado il rigido controllo censorio. Si tratta di un rap dai ritmi ossessivi con un testo scarno che riprende i temi orwelliani cari alla propaganda russa di questi due anni: «La felicità della patria è più preziosa della vita / democrazia sovrana / interessi nazionali / attacco preventivo / gesto di buona volontà / non è tutto così semplice / si bombardano da soli / screditare l’esercito / valori tradizionali / ottimizzazione delle spese / crescita negativa / ritiro strategico / sostituzione delle importazioni / la volontà di milioni di persone / la denuncia è un dovere da patriota / mobilitazione parziale / denazificazione / …».

Il gruppo «punk-rock situazionista e femminista», come si autodefiniscono le donne di Pussy Riot, è impegnato da anni nella «denuncia dell’autoritarismo in Russia e per la democrazia in tutto il mondo». Divenne famoso nel 2012 quando si permise il lusso di cantare una “canzone oltraggiosa” nei confronti della Chiesa ortodossa russa, da sempre sottomessa e lautamente finanziata dal potere putiniano. Allora quattro di loro vennero condannate per due anni alla prigione in Siberia. Successivamente il gruppo tornò a far sentire il suo dissenso con un flashmob davanti a un seggio contro i brogli nelle elezioni presidenziali del 2018. Qualche mese dopo un’attivista delle Pussy Riot invase il campo della finale dei Mondiali di calcio a Mosca per protestare contro la repressione politica che già allora avvolgeva il Paese.

La diffusione della canzone è stata accompagnata da una dichiarazione delle Pussy Riot. «Questa canzone è la nostra denuncia della propaganda di Stato russa» si legge nel comunicato. Nelle scuole sono state introdotte lezioni di «patriottismo forzato. In tutta la Russia, i bambini sono costretti a scrivere “lettere di sostegno” ai soldati di occupazione». In questo testo le Pussy Riot informano anche i concittadini dei motivi per cui sul loro presidente pende un mandato di cattura internazionale (dato che alla tv non è mai stato detto): «Le autorità russe tengono in ostaggio migliaia di bambini ucraini. I bambini sono tenuti in sanatori dove viene insegnato loro ad amare la Russia e se i bambini dicono di sentire la mancanza dell’Ucraina o del parlare ucraino vengono picchiati. Questi bambini vengono spesso riconosciuti come orfani e dati in adozione, anche se la maggior parte di loro ha genitori in Ucraina che li cercano».

Una presa di posizione che ha fatto infuriare il Cremlino: due giorni fa il Tribunale di Mosca ha inserito nell’elenco dei ricercati internazionali Lyusa Shtein, membro delle Pussy Riot ed ex consigliere comunale di Mosca, accusandola di «diffamare l’esercito». Shtein ha però già lasciato il Paese, dopo aver tolto per tempo il braccialetto elettronico che la segregava agli arresti domiciliari per altri reati d’opinione.

di Yurii Colombo

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