La storia insegna a chi la conosce
 | Esteri
        
                Nell’Europa occidentale il revisionismo di Putin può solo indignare chi conosce la storia. Ma vedendolo accompagnato da un attacco militare i leader di Kiev, Riga, Tallinn, Vilnius ed Helsinki hanno tutti le ragioni per preoccuparsi.
        
        		
				
	
		
	
		
        
	
		
	
		
        
        
    
La storia insegna a chi la conosce
Nell’Europa occidentale il revisionismo di Putin può solo indignare chi conosce la storia. Ma vedendolo accompagnato da un attacco militare i leader di Kiev, Riga, Tallinn, Vilnius ed Helsinki hanno tutti le ragioni per preoccuparsi.
        
                 | Esteri
        		
				
	
		
	
		
        
	
		
	
		
        
        
    
La storia insegna a chi la conosce
Nell’Europa occidentale il revisionismo di Putin può solo indignare chi conosce la storia. Ma vedendolo accompagnato da un attacco militare i leader di Kiev, Riga, Tallinn, Vilnius ed Helsinki hanno tutti le ragioni per preoccuparsi.
        
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AUTORE: Claudio Gatti
Il 24 febbraio scorso agli ucraini sono tornate vive le memorie di quello che successe ai loro nonni e bisnonni nei primi anni Trenta quando, dopo averli accusati di «tendenze nazionaliste», Stalin espropriò il loro grano, ne deportò centinaia di migliaia e ne affamò milioni. Ecco la cronaca fatta da un funzionario bolscevico nel maggio del 1933: «La gente gira per i villaggi in cerca di un pezzo di pane o di un rifiuto. Macellano cani e gatti, mangiano carogne». Solo nel biennio 1932-33, oltre 2.500 ucraini furono condannati per cannibalismo, spesso ai danni dei propri familiari. E davanti a tale tragedia, il corrispondente del “Manchester Guardian” parlò di «uno dei più mostruosi crimini della storia, così terribile che nel futuro sarà difficile credere sia potuto avvenire».
Ma anche baltici, polacchi e finlandesi hanno fondati motivi per temere Putin. Il miglior indicatore delle sue possibili intenzioni è offerto da un articolo da lui pubblicato il 18 giugno 2020 sulla rivista americana “The National Interest”. In quell’articolo, l’ex funzionario del Kgb ha cominciato spiegando che la responsabilità della guerra va attribuita alla Polonia, «che impedì la formazione di un’alleanza militare tra Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica e si affidò all’aiuto dei partner occidentali. Solo quando fu assolutamente chiaro che Gran Bretagna e Francia non avrebbero aiutato il loro alleato – ha proseguito – l’Urss decise di inviare l’Armata Rossa. Ovviamente, non c’era alternativa». Difficile immaginare una più spudorata riscrittura della storia. È infatti documentato che fu Mosca a proporre un protocollo segreto che stabiliva la spartizione dell’Europa orientale in una “sfera d’influenza” nazista e una sovietica. Dopo la sua approvazione il Führer lanciò l’attacco della Polonia e l’Armata Rossa occupò la Polonia orientale.
Altrettanto falsa è la rappresentazione di quello che successe ai Paesi limitrofi. «Nell’autunno del 1939 – scrive Putin – perseguendo i suoi obiettivi strategici militari e difensivi, l’Unione Sovietica avviò il processo di incorporazione di Lettonia, Lituania ed Estonia. La loro adesione all’Urss fu attuata con il consenso delle autorità elette e in linea con il diritto internazionale dell’epoca. Le repubbliche baltiche mantennero poi organi di governo, lingua e rappresentanza nelle strutture dell’Urss». Ma la storia dice cose ben diverse. Una settimana dopo aver invaso la Polonia orientale, Stalin dette un aut aut a Paesi baltici e Finlandia: autorizzate la dislocazione di truppe sovietiche o sarete attaccati. I primi non ebbero altra scelta che aderire e poco dopo furono sottoposti a un brutale processo di sovietizzazione a suon di arresti, torture e deportazioni in Siberia. Il rifiuto della Finlandia portò invece alla Guerra d’Inverno, chiusasi con un accordo che la costrinse a cedere il 9% del proprio territorio.
Nell’Europa occidentale il revisionismo di Putin può solo indignare chi conosce la storia. Ma vedendolo accompagnato da un attacco militare i leader di Kiev, Riga, Tallinn, Vilnius ed Helsinki hanno tutti le ragioni per preoccuparsi.
 
Di Claudio Gatti
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