Quiet quitting: Usa divisi sulla cultura del lavoro
Quiet quitting: Usa divisi sulla cultura del lavoro
Quiet quitting: Usa divisi sulla cultura del lavoro
Ricordate la cosiddetta great resignation? Oggi l’ondata di dimissioni arrivata in seguito al lockdown, figlia della ricerca di un migliore equilibrio tra il lavoro e la vita privata, sembra essersi in parte spenta. Ad essere precisi, direbbero i più cinici, il fenomeno si è rivelato per quello che era: un ritorno in massa sul mercato del lavoro.
A sostituire la great resignation, specie sui social network americani, nelle ultime settimane è arrivato invece il quiet quitting. Tra hashtag, reel e post assai articolati non si parla più di mollare il proprio impiego di punto in bianco, ma piuttosto di prendersela comoda. I giovani – ma non soltanto loro – scelgono di non anteporre più la carriera al benessere, rifiutando spesso straordinari non pagati e altri sacrifici non previsti nei contratti. Se, tuttavia, quella della great resignation doveva apparire una filosofia più compatibile con il sogno americano (forse perché permetteva di inseguire la felicità tramite la libertà dal lavoro), ora negli Stati Uniti è in corso una vera e propria campagna contro il quiet quitting. «Le persone hanno opinioni molto serie a proposito del non prendere il proprio lavoro troppo sul serio», ironizzano Kathryn Dill e Angela Yang sul “Wall Street Journal”, citando poi le critiche di una serie di professionisti. Una giovane imprenditrice, ad esempio, obietta: «Amo quando le persone al colloquio dicono ‘Dò il 100% sul lavoro, ma questi sono i miei limiti’. È molto diverso da ‘faccio il minimo per cavarmela’».
di Alessandro SalgarelliLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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