Rabin 30 anni dopo. La speranza uccisa
L’anniversario sarà dopodomani, il 30º dell’omicidio del leader israeliano Yitzhak Rabin, avvenuto la sera del 4 novembre 1995 (era un sabato) a Tel Aviv, durante un raduno per la pace
Rabin 30 anni dopo. La speranza uccisa
L’anniversario sarà dopodomani, il 30º dell’omicidio del leader israeliano Yitzhak Rabin, avvenuto la sera del 4 novembre 1995 (era un sabato) a Tel Aviv, durante un raduno per la pace
Rabin 30 anni dopo. La speranza uccisa
L’anniversario sarà dopodomani, il 30º dell’omicidio del leader israeliano Yitzhak Rabin, avvenuto la sera del 4 novembre 1995 (era un sabato) a Tel Aviv, durante un raduno per la pace
L’anniversario sarà dopodomani, il 30º dell’omicidio del leader israeliano Yitzhak Rabin, avvenuto la sera del 4 novembre 1995 (era un sabato) a Tel Aviv, durante un raduno per la pace. La sera in cui, per semplificare all’estremo ma non siamo lontani dal vero, morì la speranza di pace e convivenza reale fra israeliani e arabi che era stata accesa dagli accordi di Oslo del 1993.
Non si tratta, negli angoscianti tempi che ci troviamo a vivere, di ricordare e basta. La cifra tonda del 30º anniversario aiuta, con il suo naturale fascino di carattere giornalistico, ma gli eventi di questi due anni terribili seguiti al pogrom meticolosamente pianificato e attuato dai terroristi di Hamas il 7 ottobre 2023 rendono ancora più remoto quel tempo. Eppure, il coraggio di quegli uomini e la speranza di quei giorni ci impongono di riflettere con ancora maggiore attenzione sull’abisso che si è scavato da allora. Sopra ogni altra cosa nella qualità dei leader, delle persone chiamate – allora come oggi e sempre – a offrire una visione ai propri popoli.
Yigal Amir, studente di legge e militante dell’estrema destra israeliana, per sabotare gli accordi di Oslo uccise un simbolo, un grande politico, un uomo di straordinario coraggio.
La storia personale e politica di Rabin lo metteva al riparo da ogni possibile sospetto di cedimento davanti ai palestinesi, nella tutela degli interessi dello Stato di Israele, dei cittadini e della causa ebraica in patria e nel mondo.
Quei colpi di pistola sparati a distanza ravvicinata diedero il via a un processo i cui nefasti frutti vediamo proprio oggi. Ne soffriamo tutte le conseguenze, con quell’estrema destra allora quasi insignificante in termini politici, ma i cui soggetti più esaltati, incontrollabili e pericolosi erano decisi a conquistare uno spazio a ogni costo.
La stessa che oggi è decisiva per le sorti del governo israeliano. Ultra ortodossi ed estremisti di varie forme e risma capaci di tenere in scacco il premier più longevo della storia di Israele, Benjamin Netanyahu, che con il passare degli anni ha finito per coltivare semplicemente la tutela e la conservazione del proprio potere. Fino al disastro militare ed intelligence del 7 ottobre, alla ferita ancora sanguinante di quel giorno e alle sue terrificanti conseguenze.
Trent’anni buttati, per non prendersi in giro e dire le cose come stanno. Trent’anni di illusioni pericolose, infine esplose con il 7 ottobre e la più lunga e sanguinosa guerra arabo-israeliana che ne è seguita.
Trent’anni dopo a chiederci, noi che non smettiamo di sperare e non lo faremo mai, dove siano finiti i Rabin, gli Shimon Perez o lo stesso durissimo e pur a suo modo coraggioso e razionale Arik Sharon. Mentre la storia sembra accartocciarsi su se stessa.
di Fulvio Giuliani
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