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Riprende il campionato Israeliano, un calcio alla guerra

Così è ripartito, a due mesi dall’attacco di Hamas, il campionato di calcio israeliano (la Ligat Ha’Al)
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Riprende il campionato Israeliano, un calcio alla guerra

Così è ripartito, a due mesi dall’attacco di Hamas, il campionato di calcio israeliano (la Ligat Ha’Al)
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Riprende il campionato Israeliano, un calcio alla guerra

Così è ripartito, a due mesi dall’attacco di Hamas, il campionato di calcio israeliano (la Ligat Ha’Al)
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Così è ripartito, a due mesi dall’attacco di Hamas, il campionato di calcio israeliano (la Ligat Ha’Al)

Gli stadi sono semivuoti oppure chiusi al pubblico per questioni di sicurezza. Sulle spalle di alcuni calciatori – gli atleti dell’Hapoel di Tel Aviv – oltre al dolore di migliaia di connazionali che hanno perso la vita c’era il nome di kibbutz e villaggi travolti dalla violenza cieca di Hamas del 7 ottobre. Così è ripartito, a due mesi dall’attacco di Hamas, il campionato di calcio israeliano (la Ligat Ha’Al). Due le partite: la prima fra Maccabi Tel Aviv e Hapoel Gerusalemme – vinta dal Maccabi (2-1) – e l’altra del Maccabi Haifa, che pur giocando in casa ha preferito indossare la divisa bianca da trasferta piuttosto che quella verde con cui si presenta di solito davanti ai suoi sostenitori.

Forse sono passati troppi pochi giorni da quel folle attacco per ricominciare a giocare. Sicuramente il rischio per i calciatori, gli staff tecnici e gli sparuti spettatori sugli spalti è ancora molto alto. Ma il calcio, a tutte le latitudini o quasi, è una delle espressioni della vita quotidiana. È accaduto anche in Ucraina, dove in estate si è ripreso a giocare fra stadi itineranti e rifugi antiaerei nonostante il conflitto sia ancora in corso.

La presenza allo stadio Moshava dei tifosi del Maccabi Haifa è significativa. Il club di Tel Aviv è stato uno dei più colpiti dall’attacco terroristico: gran parte della tifoseria vive in kibbutz, una forma di comunità in cui tutti lavorano insieme apportando le proprie competenze in modo volontario. Il 7 ottobre sono morti 30 tifosi e due atleti del settore giovanile della sezione di basket (i fratelli Yiftach e Yonatan Kotz), uccisi insieme al padre Aviv, alla madre Livnat e alla sorella Rotem nella loro casa a Kfar Aza, che è un insediamento di circa 750 persone nel territorio israeliano.

A Tel Aviv, come si vede in diversi post sui social e sui principali media israeliani in Rete, ci sono tanti graffiti lungo le strade. Nelle ultime settimane molte pareti si sono ricoperte proprio dei nomi dei tifosi dell’Hapoel assassinati da Hamas. Fra questi c’è quello di Omer Hermesh, uno dei più noti, anche lui originario del kibbutzdi Kfar Aza. Il gruppo di cui faceva parte, gli “Ultras Hapoel”, gli ha dedicato la frase «Forever Red» (Rosso per sempre, come il colore della divisa della squadra) aggiungendo «You’ll never walk alone» (Non camminerai mai solo, un omaggio all’iconico inno del Liverpool). Ma anche altre squadre hanno voluto mostrare pubblicamente le proprie emozioni: sulla maglia d’allenamento del Beitar Gerusalemme (una delle squadre storicamente vicine alla destra integralista israeliana) c’era una bandiera con la Stella di Davide al centro e in basso la scritta «Am Israel Hai» (Il popolo d’Israele vive), mentre in campo con i calciatori del Maccabi Tel Aviv è entrato anche il piccolo Michael Idan: sua sorella Abigail, di quattro anni, è stata liberata dai terroristi alcuni giorni fa.

di Nicola Sellitti 

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