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Rosa Parks, il No che cambiò l’America

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Rosa Parks non aveva le stimmate o il fisico dell’eroina ma non ne poteva più di subire, pur non potendo immaginare che il suo atto di ribellione civile avrebbe determinato conseguenze così dirompenti

Rosa Parks, il No che cambiò l’America

Rosa Parks non aveva le stimmate o il fisico dell’eroina ma non ne poteva più di subire, pur non potendo immaginare che il suo atto di ribellione civile avrebbe determinato conseguenze così dirompenti

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Rosa Parks, il No che cambiò l’America

Rosa Parks non aveva le stimmate o il fisico dell’eroina ma non ne poteva più di subire, pur non potendo immaginare che il suo atto di ribellione civile avrebbe determinato conseguenze così dirompenti

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Abbiamo bisogno di storie di grandi donne e grandi uomini. Più che mai. Quella di Rosa Parks, almeno per sommi capi, la conosciamo tutti: il rifiuto di cedere il posto a un viaggiatore bianco e di andare ad accomodarsi – si fa per dire – in fondo all’autobus che prendeva tutti i giorni a Montgomery, capitale dell’Alabama, per recarsi al lavoro. Un gesto semplice e dalla portata rivoluzionaria.

Rosa Parks non aveva le stimmate o il fisico dell’eroina ma non ne poteva più di subire, pur non potendo immaginare che il suo atto di ribellione civile avrebbe determinato conseguenze così dirompenti.
Che quella donna di colore, minuta e dalla volontà d’acciaio, non si alzasse per cedere il posto e la dignità a un passeggero bianco risultava intollerabile a tanti che in diversi Stati americani di quel 1955 vivevano la segregazione come un dato di fatto. Ancor più, come una garanzia della salvaguardia dell’ordine sociale e dei valori (bianchi) intoccabili che avevano fatto della terra dei pionieri il Paese più ricco e potente al mondo.

La sfida del 1’ dicembre 1955 non fu frutto di un caso ma di un processo interiore che la stessa Rosa spiegò anni dopo: «No, non è vero che rifiutai di alzarmi perché ero stanca. Per meglio dire, ero sì stanca ma di sentirmi impotente e umiliata».

Perché nulla di storico accade completamente per caso e infatti dopo il suo breve arresto scattò un lungo boicottaggio dei mezzi pubblici di Montgomery (durato 382 giorni e a cui partecipò anche la comunità bianca, fondamentali furono i tassisti) che portò di fatto all’eliminazione in tutto il Paese di quelle insopportabili regole segregazioniste.

Rosa Parks non divenne mai una leader del movimento dei diritti civili, pur restando un’attivista. Prima cercò semplicemente di lavorare (cosa tutt’altro che facile, dopo quello che le era accaduto) e infine fu per anni assistente di un deputato al Congresso. Ebbe una lunghissima vita – morì 92enne nel 2005 – ricca di riconoscimenti ma soprattutto di quel rispetto agognato.

In questi tempi confusi è bello rivedere la foto che la immortala nello Studio Ovale della Casa Bianca al fianco di Bill Clinton o quella di Barack Obama seduto in quell’autobus – oggi esposto nell’Henry Ford Museum di Dearborn in Michigan – nella stessa fila di Rosa Parks, solo dall’altra parte del corridoio.

Come i tanti bianchi che a Montgomery in quel lontanissimo 1955 ebbero la forza di mettere la loro faccia al fianco dei propri concittadini di colore, anche oggi gli Stati Uniti d’America sono molte cose. Spesso ben diverse fra loro. Identificarle in poche o tante persone o in qualche idea raffazzonata resta un errore, esattamente come allora

di Fulvio Giuliani

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