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“Sarajevo Safari”: quei ricchi occidentali che durante l’assedio giocavano al “tiro al civile”

La procura di Milano ha aperto un’inchiesta sui “cecchini del weekend” che a Sarajevo pagavano i serbi per sparare sui civili, tra loro anche italiani

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A trent’anni dall’assedio di Sarajevo, a Milano è stato riaperto uno dei capitoli più oscuri del secolo breve. Si indaga su uomini danarosi che avrebbero pagato cifre da capogiro per andare sulla cintura di colline che circonda Sarajevo e sparare sui civili inermi. La Procura ha aperto un fascicolo per omicidio volontario plurimo aggravato dai motivi abbietti a carico di ignoti. Sarebbero coinvolte “decine di persone di nazionalità italiana”: lo ha detto Ezio Gavazzeni, il giornalista d’inchiesta che ha raccolto prove sul caso. La storia dei ricchi turisti stranieri che tra il 1993 e il 1995 hanno trasformato la Gerusalemme dei Balcani in un poligono a cielo aperto, non è un fatto nuovo.

Li chiamavano i “cecchini del weekend” e per molto tempo sono rimasti nel novero delle leggende metropolitane legate agli anni della guerra. Secondo un ex 007 bosniaco, i macabri safari venivano organizzati e gestiti dalle milizie serbo-bosniache comandate da Radovan Karadžić e Ratko Mladić. Lo stesso racconta che il centro logistico italiano era a Trieste: da lì partivano le comitive di “turisti” dell’orrore che provenivano principalmente dalle regioni del Nord Italia. Oltre a loro anche greci, tedeschi, inglesi, francesi, russi, canadesi e statunitensi.

Nell’atto depositato a gennaio, che conta diciassette pagine di testimonianze e contatti con fonti bosniache, è scritto che nel 1993 l’intelligence militare della capitale bosniaca ha segnalato la presenza di almeno cinque “tiratori” italiani alla sede locale del Sismi (Servizio segreto militare italiano, 1977-2007). Tra le righe compaiono anche i luoghi di provenienza, uno di questi, secondo l’ex 007, sarebbe stato un milanese proprietario di una clinica privata specializzata in medicina estetica.

Il documentario “Sarajevo Safari” di Miran Zupanič

Nel 2022 è uscito un film che ha messo in luce questa orribile pagina della Guerra dei Balcani. Il documentario del regista sloveno Miran Zupanič, prodotto da Al Jazeera Balkans e Arsmedia, mette in scena le testimonianze, anche anonime, che narrano proprio di questi stranieri venuti in mimetica da caccia sulle linee di guerra per provare l’ebbrezza del “tiro al civile”. Nella pellicola si ripercorrono i tragici episodi rimasti impressi nella memoria collettiva come quella della bambina colpita mentre era nel passeggino. Mostra le vite spezzate di chi oggi siede su una sedia a rotelle per un proiettile arrivato dall’alto.

Lo chiamavano il “viale dei cecchini” (Sniper Alley), la via principale della città con ospedali, uffici e abitazioni: attraversarlo significava rischiare la vita. Su tutta la via campeggiavano lenzuoli bianchi con su scritto “Pazi snajper” (attenzione cecchino). I militari sparavano sui civili per instaurare un clima di terrore e impedire loro di fuggire, ma non sarebbero stati gli unici.

A confermare questa ricostruzione anche la testimonianza di John Jordan (ex vigile del fuoco americano) davanti alla corte dell’Aia. L’uomo – volontario impegnato in una missione umanitaria durante l’assedio – ha raccontato di aver visto persone “guidate” dai locali, con abbigliamento e armi che non sembravano da combattimento urbano, bensì da battuta di caccia. “Nel settembre 2022 ho presentato una denuncia penale alla Procura contro persone non identificate che seminavano morte a Sarajevo e i loro complici. Nell’agosto scorso ho inoltrato una denuncia penale alla Procura di Milano, tramite l’Ambasciata d’Italia a Sarajevo, che ha avviato un’indagine e mi sono resa disponibile a testimoniare (…) un’intera squadra di persone instancabili sta lottando affinché la denuncia non rimanga lettera morta. Non ci arrendiamo!” lo ha ribadito l’ex sindaca di Sarajevo Benjamina Karic in un post su Instagram.

Il tariffario dell’orrore

Uno dei passaggi più indigesti del fascicolo è proprio il tariffario: “I bambini costavano di più, poi gli uomini (meglio in divisa e armati), le donne e infine i vecchi che si potevano uccidere gratis”. Secondo alcune ricostruzioni si stima una cifra equivalente ai centomila euro odierni per togliere la vita a un bambino.

di Angelo Annese

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