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Scontro senza ritorno

In un mondo totalmente virtualizzato, anche il campo di battaglia si sposta in Rete: bombe informatiche, missili hacker e ordigni di software trasformano la propaganda in un perenne marketing elettorale.
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Scontro senza ritorno

In un mondo totalmente virtualizzato, anche il campo di battaglia si sposta in Rete: bombe informatiche, missili hacker e ordigni di software trasformano la propaganda in un perenne marketing elettorale.
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Scontro senza ritorno

In un mondo totalmente virtualizzato, anche il campo di battaglia si sposta in Rete: bombe informatiche, missili hacker e ordigni di software trasformano la propaganda in un perenne marketing elettorale.
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In un mondo totalmente virtualizzato, anche il campo di battaglia si sposta in Rete: bombe informatiche, missili hacker e ordigni di software trasformano la propaganda in un perenne marketing elettorale.
Questo nostro mondo in via di virtualizzazione totale ormai contempla fucili di precisione per cecchini digitali che eseguono attacchi cibernetici mirati a una sola persona (per esempio un presidente), bombe informatiche che bloccano la rete delle centrali elettriche, missili hacker che sventrano il software del traffico aereo e dei treni, ordigni di software nucleari che isolano, con qualche preciso e concordato click, le banche e le transazioni internazionali online, magari del più esteso Paese del mondo. Anche in questo caso viene in aiuto una variante dell’abusata citazione da Carl von Clausewitz – «La guerra cibernetica non è che la continuazione della politica con altri mezzi» – dove ogni elemento della classica guerra fisica viene sostituito dal digitale: dalle conquiste di ‘terreno informatico’ con furibonde battaglie online alla propaganda nel web, dallo spionaggio dietro le linee Internet nemiche al sabotaggio industriale e finanziario cibernetico. Quella cibernetica è una sostituzione, dalle magnifiche sorti e progressive, che muta gli agenti segreti d’archivio (gli analisti) in superman della gestione di miliardi di dati e quelli sul campo li collega a droni spia, intelligenze artificiali e localizzazioni millimetriche di amici e nemici, in tempo reale. La sostituzione del reale coi bit trasforma la propaganda in un perenne marketing elettorale che, con a disposizione miliardi di cittadini connessi, può raggiungere gli elettori di un Paese ‘avverso’ e – ormai da anni – fare pubblicità elettorale compulsiva, lastricata di fake news, sui social network per il candidato più favorevole ai suoi interessi ‘stranieri’ (fra i tantissimi, l’esempio storico della Russia con la sua massiccia campagna online a favore del candidato presidenziale Trump). La cibernetica si innesta poi nella guerra reale – la folle invasione dell’Ucraina da parte della Russia – dove si trasforma anche in guerriglia, come quella del noto gruppo di hackeraggio Anonymus (certo anonimo, ma molto ben pilotato) che blocca treni, siti governativi e giornali online russi, svela i segreti strategici, si introduce nei canali tv con propria controinformazione, istruisce la resistenza ucraina, alimenta dissenso nelle truppe di Putin e nel popolo a casa. In parallelo alle guerre fisiche, che continuano a insanguinare molti angoli del pianeta, si combatte ormai da anni anche una Terza guerra mondiale online fra grandi e medie potenze, su ogni possibile fronte: economico, finanziario, industriale, scientifico, culturale, sociale e ovviamente politico e militare/bellico. L’idea che la guerra cruenta – in utopica attesa che diventi per gli umani un reale tabù – sia sostituita da una guerra anche planetaria ma solo online può sembrare un’accettabile sublimazione/sostituzione del sangue e delle distruzioni belliche (resiste il tabù della guerra mondiale perché sarebbe guerra nucleare). In realtà una futura guerra mondiale tutta online, in un globo totalmente interconnesso e dipendente da reti di intelligenze artificiali, azzererebbe in pochi attimi aziende, città, strade, ospedali, banche, istituzioni, infrastrutture. Sarebbe lo spegnimento del pianeta. Un day after in distopica concorrenza con quello nucleare.   Di Edoardo Fleischner

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