Mai come in questa epoca contemporanea, ipertecnologica e connessa, il tempo delle tribù è stato così diffuso e presente. Il nostro modo di vivere ci ha ormai portati a ritrovarci in dimensioni di appartenenza i cui totem, di volta in volta, cambiano a seconda dei gusti e delle declinazioni/inclinazioni. Ci sono i vegani, i salutisti, gli ecologisti (riformisti e radicali), i fumatori e gli anti-fumatori. I cultori del fitness, quelli dell’eterna giovinezza a colpi di botox e oltre. Tribù riconoscibili ma piuttosto confuse. E proprio per questa evanescenza delle tribù occidentali ci colpisce in questi giorni una petizione fatta nientemeno che in Nuova Zelanda.
Lì il partito dei nativi, i maori, ha chiesto di sostituire l’attuale nome dello Stato con “Aotearoa”. Quello era il modo in cui gli indigeni chiamavano la Nuova Zelanda prima dello sbarco dei colonizzatori olandesi. In lingua maori la parola vuol dire “Terra della lunga nuvola bianca”, il che avrebbe pure qualcosa di poetico, se non fosse per l’aspetto culturale e politico che questa petizione sul cambio del nome si porta appresso. Un aspetto tribale. Nel senso di identitario.
A esser sinceri il modo con cui i leader del Partito maori hanno argomentato la proposta è stato persino simpatico: «Siamo un Paese polinesiano, siamo Aotearoa. È un nome che unificherà la nostra nazione, invece di dividerla. Nuova Zelanda è un termine olandese, e perfino gli olandesi hanno cambiato nome in Paesi Bassi!». Ma la questione – nonostante la simpatia delle parole – resta di sostanza: la nostra società sta prendendo l’abitudine di tornare indietro, in cerca di una purezza di identità, di cultura, a volte persino di natura e di umanità, che sia migliore del presente. Un’idea da macchina del tempo etica e super morale, in cerca di un mondo migliore nel passato.
Persino la cancel culture – prendendo di mira Winston Churchill, Cristoforo Colombo, un film come “Via col Vento” – punta a ergersi a tribunale da Stato etico rispetto alla storia e agli uomini che l’hanno fatta. Di questo passo i processi a ritroso (e spesso anche le bischerate) non finiranno mai. Per noi, garantisti d’animo e di cultura, un incubo. Per il mondo, una follia.
di Massimiliano Lenzi
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