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S’ingrossa il fiume nella polacca Medyka

Migliaia di sfollati ucraini in viaggio verso la frontiera. Una volta arrivati, nei loro occhi si legge il sollievo di aver raggiunto la salvezza. La testimonianza di Jakub Zielinski raccolta da Marco Milini
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S’ingrossa il fiume nella polacca Medyka

Migliaia di sfollati ucraini in viaggio verso la frontiera. Una volta arrivati, nei loro occhi si legge il sollievo di aver raggiunto la salvezza. La testimonianza di Jakub Zielinski raccolta da Marco Milini
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S’ingrossa il fiume nella polacca Medyka

Migliaia di sfollati ucraini in viaggio verso la frontiera. Una volta arrivati, nei loro occhi si legge il sollievo di aver raggiunto la salvezza. La testimonianza di Jakub Zielinski raccolta da Marco Milini
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Migliaia di sfollati ucraini in viaggio verso la frontiera. Una volta arrivati, nei loro occhi si legge il sollievo di aver raggiunto la salvezza. La testimonianza di Jakub Zielinski raccolta da Marco Milini
A Medyka vedi un fiume di persone, sempre in movimento. Arrivano in cinque, in dieci, in due, una famiglia, un gruppo: è un fiume che non si ferma e scorre, scorre. Chi arriva, dopo un lungo viaggio, aspetta due ore per il controllo passaporti. Attendono in fila, senza la certezza di passare la frontiera, con la guerra sempre più vicina. Ora arrivano 20mila persone al giorno, ma mercoledì scorso ne sono arrivate 86mila e hanno atteso fino a 48 ore. Donne, bambini e anziani. Uomini pochi. Con pacchi, valigie, buste di plastica, chi senza niente. Dal posto di frontiera a dove i pullman caricano le persone per portarle alla città di Przemyśl ci sono 200 metri e lì, chi arriva, incontra i militari e i pompieri polacchi, le Ong, la Croce rossa, i volontari da tutto il mondo. È un momento di liberazione, quasi di gioia. Alla frontiera tutti lavorano giorno e notte, si respira l’amore dei volontari: una svedese, un giovane tedesco, un americano del Connecticut che vedeva le notizie in televisione e ha preso un volo per venire ad aiutare. Uno scozzese offre zuppa di pomodoro, dei sikh di New York cibo indiano, dei francesi preparano fuochi per scaldarsi. Fa freddo, anch’io non riuscivo più a lavorare perché avevo le mani ghiacciate… C’è tanta accoglienza: cibo, vestiti, dolci e giochi per i bambini. Soprattutto si cerca far stare bene i bambini, farli giocare, farli sorridere. Ho visto donne con madri anziane, madri con figli disabili, una donna incinta con due figli, uno in braccio uno per mano, anziani che faticano a camminare, persone in sedia a rotelle, neonati. Ho visto gente piangere, ridere, abbracciarsi: quando sei lì è difficile anche capire cosa riprendere, il cervello è sovraccarico di input, parole, emozioni, sguardi, espressioni. Dopo l’accoglienza, chi arriva è accompagnato alla stazione di Przemyśl. Inoltre, fuori città è stato organizzato il centro per la registrazione degli autisti che offrono passaggi verso il resto d’Europa. Lì ci sono anche un enorme dormitorio e un centro di raccolta di doni da tutta Europa, soprattutto vestiti, dove si può prendere ciò di cui si ha bisogno. Ma dopo il sollievo dell’accoglienza, la situazione cambia: è la consapevolezza di avere lasciato indietro il proprio Paese e i propri cari. Non sanno quando e se ritorneranno. I più fortunati in Europa hanno amici o parenti, ma c’è chi non sa dove andare. Vedi persone stanche, smarrite. Alla stazione di Varsavia ho incontrato una madre di Kharkiv con il figlio, seduti su sedie da campeggio: si riposavano senza sapere quale sarebbe stato il loro futuro. Persone che avevano una vita come noi e che da un giorno all’altro si sono ritrovate in guerra, costrette a scappare, a fare ciò che nessuno di noi vorrebbe fare nella vita. Ora bisogna accogliere: si può prendere il meglio di questa terribile situazione, aiutare, fare qualcosa di buono per gli altri. Finché finirà la guerra e potranno tornare, ricostruirsi una casa e una vita in Ucraina, da dove sono scappati. Testimonianza di Jakub Zielinski raccolta da Marco Milini

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