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Suonerà la sveglia dell’Europa?

Ci siamo svegliati questa mattina e il mondo era ancora qui, per l’Armageddon possiamo attendere almeno fino all’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca

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Suonerà la sveglia dell’Europa?

Ci siamo svegliati questa mattina e il mondo era ancora qui, per l’Armageddon possiamo attendere almeno fino all’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca

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Suonerà la sveglia dell’Europa?

Ci siamo svegliati questa mattina e il mondo era ancora qui, per l’Armageddon possiamo attendere almeno fino all’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca

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Ci siamo svegliati questa mattina e il mondo era ancora qui, per l’Armageddon possiamo attendere almeno fino all’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca

Ci siamo svegliati questa mattina e il mondo era ancora qui, per l’Armageddon possiamo attendere almeno fino all’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca fissato a inizio gennaio. Ironie a parte e scritto da chi non ha mai nascosto la propria preferenza per i democratici, in un’ottica strettamente europea e di rapporti atlantici, è il momento di smaltire emozioni forti e impressioni a caldo.

Abbiamo tante volte scritto delle mancanze della candidata democratica, gettata in piena emergenza in corsa per sostituire un presidente ormai in condizioni psicofisiche inadeguate.
Lo avevamo scritto in tempi non sospetti e non improvvisamente folgorati da Trump ma perché era proprio a Kamala Harris che le cancellerie europee guardavano nella speranza di mantenere non troppo largo l’oceano Atlantico.

Dal prossimo gennaio, piaccia o meno, sarà invece Donald Trump a confrontarsi con un mondo che sembra andare alla deriva geopolitica, fra guerre d’aggressione e crisi eterne, divenute se possibile ancor più esplosive e inestricabili come in Medioriente. Tutto questo mentre Stati antidemocratici sembrano decisi a lanciare il guanto di sfida alla supremazia occidentale e al ruolo egemone degli stessi Stati Uniti d’America.

L’isolazionismo trumpiano è qualcosa con cui potremmo dover fare i conti nel giro di settimane.
Il che significa guardarsi negli occhi fra europei e decidere cosa fare con Vladimir Putin, sapendo perfettamente che lo zar ormai vassallo della Cina non si fermerà mai alla sola Ucraina, se gli Stati Uniti di Trump lasceranno fare in nome di una pelosa e irresponsabile idea di pace menefreghista a ogni costo. Perché a invocare la pace siamo bravi tutti, ottenerne una giusta per un popolo aggredito e martoriato, è tutt’altra faccenda.

Certo, proprio con la Cina The Donald potrebbe fare la voce grossa come nel suo primo quadriennio ma in un contesto in cui l’Europa diventerebbe periferia dei suoi interessi. E anche Taiwan, tanto per essere chiari.

Tralasciando i retorici e scontati messaggi di congratulazioni di ieri dei leader europei, in un mondo che cambia dovrebbe finire il tempo delle scuse e arrivare quello della consapevolezza e della responsabilità. Con la minaccia di essere abbandonati al proprio destino per la prima volta in ottant’anni dagli americani, forse anche questa generazione di leader incompiuti toccata all’Europa potrebbe infine svegliarsi.

È solo un auspicio, razionalmente improbabile, eppure la Storia ricorda come le democrazie diano il meglio di sé quando meno te lo aspetti e quando tutto sembra precipitare. Speriamo di non essere messi alla prova come capitò alla generazione dei nostri nonni e bisnonni ma converrebbe tenersi pronti.
Anche a spiegare a un’opinione pubblica anestetizzata da anni di comode panzane che meno America significherà dover spendere un mare di soldi in più per difendersi – altro che pacifismo e fiori nei cannoni – e assumersi responsabilità dimenticate

di Fulvio Giuliani

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