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Superpotenza con armi spuntate

Oggi, davanti all’ alta probabilità di scontro globale, l’America è quasi del tutto impotente e impreparata sul fronte dell’apparato militare

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Superpotenza con armi spuntate

Oggi, davanti all’ alta probabilità di scontro globale, l’America è quasi del tutto impotente e impreparata sul fronte dell’apparato militare

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Superpotenza con armi spuntate

Oggi, davanti all’ alta probabilità di scontro globale, l’America è quasi del tutto impotente e impreparata sul fronte dell’apparato militare

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Oggi, davanti all’ alta probabilità di scontro globale, l’America è quasi del tutto impotente e impreparata sul fronte dell’apparato militare

Alla fine della Guerra fredda, 35 anni fa, gli Stati Uniti disponevano di un apparato militare in grado di affrontare un conflitto totale su larga scala. Oggi, davanti alla «più alta probabilità di scontro globale negli ultimi 80 anni», l’America è quasi del tutto impotente e impreparata. È l’apocalittica conclusione della Commissione sulla strategia di sicurezza nazionale del Congresso che, ogni quattro anni, ha il compito di investigare lo stato di efficienza dell’enorme apparato bellico di Washington. I risultati delle ricerche sono stati resi noti la scorsa settimana, con ampio anticipo rispetto al termine previsto per dicembre. I componenti del panel bipartisan, sia democratici che repubblicani, sperano che il documento conclusivo possa influenzare il voto e i programmi in vista delle presidenziali di novembre.

I punti critici del rapporto sono decine e c’è da mettersi le mani nei capelli. La superpotenza militare americana viene dipinta in maniera apocalittica come un carrozzone sgangherato e senza guida. La National Defense Strategy del Pentagono? Fogli pieni di intenzioni indefinite, senza alcuna iniziativa reale (come confermato dai colloqui con il segretario alla Difesa, Lloyd Austin). I budget? Del tutto insufficienti, con una spesa militare che quest’anno si fermerà al 2,9% del Pil (a fronte di analisi, anch’esse bipartisan, che chiedono almeno un 5% per restare competitivi). Questo dato è quantomeno stupefacente, contando che con i loro 916 miliardi di dollari nel 2023 gli Stati Uniti restano saldamente in vetta alla spesa militare globale, cui contribuiscono per il 37%. A quanto pare quei soldi non bastano o sono male allocati.

Proseguendo nel rapporto, gli organici delle Forze armate restano troppo bassi: sempre meno giovani si arruolano, costringendo gli anziani a rimanere in servizio più a lungo. E poi c’è il grande buco nero dei programmi di ammodernamento di armi e mezzi: da una parte progetti ultramoderni che divorano miliardi di dollari, per poi rivelarsi fiaschi clamorosi; dall’altra piattaforme più vetuste, che potrebbero essere mantenute efficienti con spese minime, vengono invece ritirate dal servizio.

Insomma, una grande Caporetto a stelle e strisce. Di chi è la colpa, chi è il Cadorna di turno? A sentire la Commissione, che ha approvato le conclusioni all’unanimità, la classe politica tutta. Democratica e repubblicana, presente e passata. Incapace di comprendere che per la prima volta «avversari con intenzioni realmente bellicose (leggi: Russia) o che potrebbero crescere fino alla parità con Washington (leggi: Cina) uniscono le forze».

Che fare dunque? La Commissione ha una ricetta che definisce «dura ma indispensabile»: cambiare i regolamenti del Pentagono per consentire scelte industriali non convenzionali e innovative; stanziare fondi straordinari, eliminando anche alcuni limiti di spesa; sul medio e lungo termine serviranno riforme impopolari, come l’aumento delle tasse per alcune categorie (così negli anni Ottanta Ronald Raegan finanziò enormi programmi militari) e revisioni dei programmi di welfare. L’obiettivo deve essere una capacità militare più ampia, in grado di affrontare una grande guerra in domini differenti. Ne va della sopravvivenza dell’America, dei suoi alleati e di una definizione che durava dalla fine della Seconda guerra mondiale e che ora sembra sgretolarsi. Quella di superpotenza.

Di Umberto Cascone

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