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L’America vive il suo incubo

L’America vede i suoi incubi – i peggiori incubi – materializzarsi davanti a sè. Gli spari al comizio di Donald Trump a Butler, in Pennsylvania

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L’America vive il suo incubo

L’America vede i suoi incubi – i peggiori incubi – materializzarsi davanti a sè. Gli spari al comizio di Donald Trump a Butler, in Pennsylvania

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L’America vive il suo incubo

L’America vede i suoi incubi – i peggiori incubi – materializzarsi davanti a sè. Gli spari al comizio di Donald Trump a Butler, in Pennsylvania

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L’America vede i suoi incubi – i peggiori incubi – materializzarsi davanti a sè. Gli spari al comizio di Donald Trump a Butler, in Pennsylvania

L’America vede gli incubi – i peggiori incubi – materializzarsi davanti a sè. Gli spari al comizio di Donald Trump a Butler, in Pennsylvania, l’ex Presidente e candidato alla Casa Bianca ferito a un orecchio, il colpo (di pistola, di fucile?) a pochi millimetri dal cranio. Il volto insanguinato e il gesto di sfida lanciato con tanto di pugno stretto rivolto ai suoi sostenitori terrorizzati.

Immagini che gli Stati Uniti conoscono bene, hanno interiorizzato da decenni: la violenza politica che si prende la scena, cambia la storia o arriva a un millimetro dal farlo.
Come nell’assassinio di John Fitzgerald Kennedy o nell’attentato miracolosamente fallito a Ronald Reagan e senza risalire ad Abramo Lincoln ammazzato a teatro.

Una violenza che lacera un tessuto sociale sbrindellato, diffonde paura, odio, rancore, ulteriore incomunicabilità fra gli schieramenti. Già adesso, i social grondano di accuse incrociate fra gli incontrollabili ultras delle parti: chi urla al complotto dei ‘poteri forti’ che avrebbero voluto eliminare Donald Trump lanciatisismo verso la rielezione, chi risponde con le teorie più fantasiose, fino alla tesi della grande recita per rafforzare ulteriormente la figura di The Donald, avvolgendola nell’aura del martire e dell’eroe.

Sono due Americhe che non si parlano da anni, si odiano – per usare il verbo corretto e non inutilmente edulcorato – e rischiano di precipitare la campagna elettorale per la Presidenza in un qualcosa di mai visto. Pericolosissimo per la tenuta della più grande democrazia del mondo, che sembra aver completamente smarrito la strada della reciproca legittimazione.

Non si tratta più di democratici e repubblicani, non c’è più spazio per il confronto duro, ma su basi condivise: gli Usa sono rimasti all’assalto a Capitol Hill, non hanno mai metabolizzato, analizzato e affrontato quella giornata fino in fondo e quello che c’era dietro. Ciò che denunciava in modo così clamoroso.

La violenza politica, il sangue di Trump, gli spari sulla folla, la morte al comizio sono figli di una politica che ha scelto di non estirpare la barbarie. Di illudersi di poterla controllare, per farne arma propagandistica. Illusione terribile, che spinge il Paese a sfilacciare l’idea stessa di sè. A sostituirla con l’odio incrociato e la delegittimazione personale e politica che è la metastasi della democrazia.

Dopo Butler, anche i democratici non hanno letteralmente più tempo: scelgano se affidarsi all’esausto Biden o prendere altre strade, perché da oggi la campagna di Trump – il Trump sanguinante eppure indomito e con il pugno alzato – salirà ancora di livello, di rivendicazioni e forza mediatica. È un fatto, come è un fatto che la follia di Butler diventerà ulteriore benzina nel motore di uno sfidante che ha già cominciato a giocare la carta messianica del sopravvissuto (anche questo è un fatto, del resto) alla violenza politica che ha provato a cancellare la ‘sua’ America.

di Fulvio Giuliani

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