Trump contro la stampa non è una bellezza
Nella seconda era di Trump alla Casa Bianca, la stampa americana – quella che in passato ha fatto dimettere persino un presidente (Richard Nixon) – è molto più debole di una volta

Trump contro la stampa non è una bellezza
Nella seconda era di Trump alla Casa Bianca, la stampa americana – quella che in passato ha fatto dimettere persino un presidente (Richard Nixon) – è molto più debole di una volta
Trump contro la stampa non è una bellezza
Nella seconda era di Trump alla Casa Bianca, la stampa americana – quella che in passato ha fatto dimettere persino un presidente (Richard Nixon) – è molto più debole di una volta
Era la stampa, bellezze. Negli Stati Uniti, qualche decina di anni orsono, la casa automobilista General Motors non gradì alcuni servizi giornalistici pubblicati sul quotidiano economico “The Wall Street Journal” (ancora oggi uno dei giornali più autorevoli d’America, ndr.). Non parlavano bene dell’azienda e questa per vendetta decise di revocare tutte le inserzioni pubblicitarie al Wsj. Il giornale non mollò la presa e decise di rilanciare, inviando a Detroit (sede della General Motors) i suoi migliori giornalisti investigativi. Iniziò così a pubblicare inchieste quotidiane, con disastrosi risultati d’immagine per il gigante dell’auto. Epilogo: dopo poche settimane la casa automobilistica decise di ricomprare gli spazi pubblicitari sul Wsj.
Cos’era accaduto? Era accaduto che davanti alla forza economica di una grande multinazionale che esercitava la sua pressione sulla libera stampa, “The Wall Street Journal” l’aveva spuntata grazie alla sua ostinazione. Non aveva rinunciato alla propria missione, grazie anche a un pregiudizio di partenza: la convinzione che nelle pieghe anche più nascoste di un gigante economico si celassero cose che non andavano e di cui valeva la pena scrivere.
Da allora sono trascorsi parecchi anni, i media sono cambiati con l’arrivo di Internet e dei social, il peso dei giornali si è ridotto, ma la libertà di stampa resta un valore imprescindibile della democrazia. Nel 2025 la domanda da porsi e che riguarda gli Usa (ma pure il Vecchio Continente) è se siamo ancora nel tempo del «È la stampa, bellezza». S’impone infatti una riflessione più che mai urgente, se guardiamo a quanto sta accadendo nel rapporto fra il potere e la stampa nell’America di Donald Trump.
È notizia recente che il presidente americano ha intentato una causa per diffamazione e per calunnia contro il quotidiano “The New York Times”, chiedendo 15 miliardi di dollari di risarcimento. Ad annunciarlo è stato sui social lo stesso Trump, che ha definito il Nyt «uno dei giornali peggiori e più degenerati nella storia del nostro Paese, divenuto un vero e proprio ‘portavoce’ del Partito Democratico di Sinistra Radicale». Il punto non è cosa pensi Trump del quotidiano newyorkese (libero di pensare quel che vuole) e non sono neppure le critiche che il giornale ha rivolto al tycoon (si chiama libertà editoriale). Il punto è la scelta di un presidente degli Stati Uniti di fare causa a un giornale chiedendo una cifra enorme.
Si dirà: se si è sentito offeso, è un suo diritto. Affermazione ovvia che però deve tenere conto di due aspetti fondamentali per una democrazia: il ruolo istituzionale che Trump ricopre in quanto presidente degli Stati Uniti e il fatto che non è la prima volta che, da presidente, fa causa a un media del suo Paese. Tempo addietro il tycoon aveva fatto causa, chiedendo 20 miliardi di dollari, alla Paramount (la casa madre della televisione Cbs) in merito al contenuto di un’intervista (andata in onda durante la campagna per le presidenziali) con l’allora vice presidente e candidata democratica Kamala Harris.
The Donald sosteneva che l’intervista del programma “60 Minutes” con la Harris fosse stata modificata per rimuovere una risposta imbarazzante. Di contro la Cbs replicava che il montaggio in televisione è una prassi corrente mentre i suoi esperti legali spiegavano che la causa mossa da Trump era infondata e che, nel caso fosse mai arrivata in tribunale, avrebbe rappresentato una facile vittoria per la Cbs grazie alle tutele costituzionali della libertà di stampa.
È finita in tutt’altra maniera, visto che la Paramount ha poi deciso di pagare 16 milioni di dollari per chiudere la faccenda (soldi destinati alla futura biblioteca presidenziale di Trump). Un comportamento che è esattamente il contrario di quello adottato anni fa da “The Wall Street Journal” con la General Motors. Sommato a tutti gli altri è un segnale evidente di come oggi, nella seconda era di Trump alla Casa Bianca, la stampa americana – quella che in passato ha fatto dimettere persino un presidente (Richard Nixon) – sia molto più debole di una volta. È un peccato ma soprattutto è un grave rischio, bellezze. Per le libertà.
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