Trump e un’Europa che non capisce e non sopporta
Donald Trump parla solo con chi ritiene essere al suo livello di potenza, in una visione ottocentesca dei rapporti fra le nazioni
Trump e un’Europa che non capisce e non sopporta
Donald Trump parla solo con chi ritiene essere al suo livello di potenza, in una visione ottocentesca dei rapporti fra le nazioni
Trump e un’Europa che non capisce e non sopporta
Donald Trump parla solo con chi ritiene essere al suo livello di potenza, in una visione ottocentesca dei rapporti fra le nazioni
A Washington lo dicono e sottolineano con orgoglio di voler punire questi petulanti, noiosi europei che insistono nel voler stabilire delle regole – ne scrivevamo solo pochi giorni fa – per evitare che le straordinarie opportunità offerte dall’era digitale si tramutino in una giungla per chi ha meno strumenti, possibilità o anche solo voglia di porre attenzione alla condivisione dei dati e alla privacy. Tutti argomenti su cui è rimasta di fatto solo l’Ue a cercare di legiferare nell’interesse dei cittadini e non dei colossi digital.
Anche perché il crescente nervosismo trumpiano è motivato dalla crescente insoddisfazione interna, certificata dai più bassi dati di approvazione che si ricordino.
In particolar modo sull’economia vista dalla classe media, proprio il terreno su cui il presidente ha costruito tutta la narrazione contro Biden e i democratici nella campagna 2024.
Le cose non vanno bene per la sua base e Trump racconta un mondo che non c’è, descrivendo con sempre maggiore enfasi l’America di prima come una sorta di landa desolata in preda ai peggiori criminali e istinti. Un’America salvata dal suo avvento.
C’è bisogno di nemici, dunque, per puntellare un racconto ossessivo che sta diventando un’auto trappola per il presidente: serve sempre di più, si devono propagandare sempre più fantasmagorici (e inesistenti) risultati.
In questa spasmodica caccia al nemico o almeno all’ostacolo, i preferiti restano gli europei e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Quest’ultimo, che incontrerà domani Trump fra gli stucchi di Mar-a-Lago, rappresenta tutto ciò che il tycoon detesta: il leader di un Paese che rifiuta di arrendersi all’arroganza, alla violenza e alla capitolazione travestita da finta pace.
“Tu mi metti le regole sul digitale e io non ti faccio entrare negli Stati Uniti”, insomma e come capitato al semi sconosciuto ai più commissario Breton. La forma è fanciullesca ma la sostanza sconfortante: l’America di Trump con l’Europa non ci vuole parlare. Un leader che, dopo aver raccontato di un’America che avrebbe badato solo a se stessa e alla propria “età dell’oro”, continua a intervenire militarmente in giro per il mondo o a minacciare di farlo.
Si veda il blitz di Natale del nord della Nigeria contro gli islamisti (si fa presto a dire Isis, in una regione in cui c’è di tutto da anni e che Trump ha sbagliato anche a indicare), un colpo la cui utilità strategica per gli Stati Uniti d’America appare nella migliore delle ipotesi fumosa.
In Africa è la Cina ad aver imposto la propria presenza, con un lavoro in profondità durato anni e il mordi e fuggi in salsa nigeriana non si capisce cosa possa mai assicurare agli Stati Uniti. Nella confusione a tratti disperante della politica del presidente, resta un unico punto di riferimento stabile: Donald Trump parla solo con chi ritiene essere al suo livello di potenza, in una visione ottocentesca dei rapporti fra le nazioni.
Di Fulvio Giuliani
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